Molti pensavano che il giovane Tommaso Osea non sarebbe vissuto a lungo. Le sue condizioni di salute ne facevano temere una morte prematura. Nessuno però poteva immaginare che avrebbe chiuso i suoi giorni in modo tragico e lontano dal convento. Tommaso, infatti, sarà il primo dei tanti giovani passionisti arruolati nell’esercito del generalissimo Franco e appartenenti alla provincia religiosa intitolata al Sacro Cuore di Gesù, a trovare la morte sul campo di battaglia. La tragedia si consuma durante la guerra civile che dal 1936 al 1939 segnò dolorosamente la storia della Spagna scrivendo tristissime pagine intrise di odio e di sangue.
Figlio di Clemente e Giulia Diaz, Tommaso nasce il 20 dicembre 1914 a Urbiola (Spagna settentrionale). La sua vocazione alla vita sacerdotale e religiosa nasce dalla buona educazione ricevuta in famiglia e dal frequente contatto con un suo parente già religioso passionista; questi manifesta al ragazzo la sua gioia per essersi consacrato al Signore e gli parla della sua pace tra le mura del convento. Il ragazzo vive gli insegnamenti dei genitori, resta incantato dai racconti del suo parente.
Nel 1927 entra quindi nel seminario di Gabiria. Direttore del seminario è il ventottenne padre Martino Elorza che in seguito sarà vescovo in Perù e del quale sono in corso i processi di beatificazione. Padre Martino, nonostante la giovane età, è un educatore attento e sapiente, esperto e pienamente affidabile. Ai seminaristi inculca la stima per la vocazione e lo spirito missionario; insegna l’amore allo studio e la devozione a Gesù crocifisso, all’eucaristia e alla Ma-donna. Il ragazzo trova in lui una guida sicura, esigente e comprensiva che lo accompagna premurosamente nei primi passi verso il sacerdozio.
Nel 1931 Tommaso inizia il noviziato ad Angosto: vi arriva con ottime referenze da parte del direttore che lo ha visto sempre docile ai suoi insegnamenti e molto impegnato sia nello studio che nella vita spirituale. Il giovane veste l’abito passionista il 2 novembre 1931. Durante l’anno di prova cresce nel desiderio di essere sacerdote, diventa più fervoroso nella preghiera, vive con gioia più intensa la vita comunitaria. Il 3 novembre 1932 emette la professione religiosa; trasferito nel convento di Tafalla, comincia subito a soffrire dolori allo stomaco la cui natura non sarà mai ben diagnosticata; non si troverà quindi un rimedio efficace. Il giovane sarà accompagnato per tre anni dal dolore che ne condiziona anche l’applicazione allo studio. Dotato però di buona intelligenza riesce a tenere agevolmente il passo dei suoi condiscepoli.
All’inizio di novembre del 1935 deve partire per il servizio militare; inviato a Madrid, vi resta fino ai primi di luglio del 1936. Le ore libere dagli obblighi di leva le passa nella comunità passionista presente in città; vi si reca sia per vivere momenti di serenità con i propri confratelli, sia per seguire lezioni private di teologia: non vuole accusare ritardi nel cammino verso il sacerdozio. Ha poco tempo a disposizione, ma il suo impegno e la sua intelligenza lo tengono al livello dei compagni. Terminato il servizio militare torna in convento ancora più fermo nella scelta vocazionale. Il 19 luglio scoppia la guerra civile e lui, richiamato alle armi, viene arruolato nella fanteria. Il giovane sperimenta il pericolo e l’asprezza della guerra soprattutto nei combattimenti di Avila, Segovia e Madrid dove muore il 23 febbraio 1937. Durante un violento scontro armato, viene raggiunto da una scarica di proiettili partiti da un carro armato sovietico; raccolto dai barellieri, presenta numerose e gravi ferite; il volto sfigurato, è una raccapricciante maschera di sangue. Tommaso muore prima di giungere al più vicino posto di soccorso. Il suo capitano, appresa la tragica notizia, scoppia in pianto come un bambino e mormora tra le lacrime: “Ho perso il mio soldato più buono, hanno ucciso il mio soldato più bravo”.
La cronaca del convento a sua volta, ricorda: “Tommaso è vissuto solo 22 anni e due mesi. Di carattere dolce, riservato, diligente nello studio, sempre disponibile ad aiutare i confratelli, ha edificato tutti per il suo comportamento. Le tante e belle doti di cui era ricco lo avrebbero reso molto utile alla provincia religiosa che purtroppo ora ne piange l’immatura e tragica morte”. (160)
IL CAPITANO PIANGE IL SUO SOLDATO
