Di tanto in tanto, qualcuno ci ricorda che il rapporto genitori-figli è pedagogicamente accettabile solo se è “asimmetrico”. Col-locarsi sullo stesso piano dei figli – come fanno i cosiddetti “genitori amiconi”, che lo psichiatra Paolo Crepet definisce “patetici” – non produce che guai. Infatti, un figlio sente soddisfatto il suo bisogno di sicurezza, solo se il padre e la madre gli appaiono più alti di lui.
È per questo che molti genitori hanno applaudito quando sono venuti a sapere che Charles Galea, pedagogista italo-americano che per decenni si è occupato di ragazzi difficili nei riformatori degli Stati Uniti, ha detto a tutto tondo: “Se avete quarant’anni, non comportatevi come se ne aveste 16. I vostri figli vogliono qualcuno da rispettare. Forse non hanno il coraggio di dirvelo ma non ci sono dubbi su quello che pensano: comportatevi da genitori non da coetanei”. La più sintetica di tutti è stata la pedagogista Katharina Zimmer: “Genitori, fate il vostro mestiere. Piantatela di imitare i ragazzi!”. “Il padre che vuole apparire ‘il migliore amico dei suoi figli’, cioè solo un compagno di giochi – scrive il pedagogista Pino Pellegrino – serve a poco in quanto la formazione della coscienza morale e sociale dei figli non ne esce stabilizzata”.
In psicologia sono stati evidenziati quattro modelli di comunicazione. Tre sbagliati (autoritario, permissivo, indifferente) e uno corretto, quello “autorevole”. Diciamo che sia il modello autoritario che quello permissivo, producono danni educativi di uguale intensità. Essi, infatti, contribuiscono a modellare un comportamento morale attento prevalentemente al calcolo dei vantaggi-svantaggi e alla possibilità di essere scoperto e punito, anziché “autonomo”, cioè, costruito su convinzioni elaborate dallo stesso soggetto in base alla natura di un’azione. Non parliamo, poi, del modello “indifferente” che è il più disastroso, in quanto non trasmette segnali di alcun tipo. Del resto, fidarsi ciecamente di un ragazzo, sembra non dia buoni risultati, come pure essere troppo sospettosi. La cosa migliore è una fiducia di fondo, accompagnata da caute indagini eseguite attraverso il dialogo diretto con i figli.
Riassumendo, alla base di una corretta educazione c’è sempre il dialogo coscientizzatore, proteso a far riflettere i ragazzi sulle conseguenze dei loro comportamenti. Questo, però, come già detto, non significa “democraticismo” perché, quando i genitori fanno gli “amici” i figli avvertono la mancanza di un riferimento autorevole. D’altro canto, nella sua essenza, l’autorità non consiste nemmeno nel comandare. Etimologicamente, infatti, la parola autorità deriva dal verbo latino augere che significa aiutare a crescere. L’autorità nella famiglia dovrebbe aiutare i membri più giovani a sviluppare, nella maniera più affettuosa possibile, quella componente umana che, nel gergo psicanalitico, si chiama “principio di realtà”, consistente nella disponibilità verso i vari compiti sociali.
Una cosa è certa. I nostri figli, alla fine, misurano gli adulti in base alla loro elevatezza morale.
Elenchiamo, allora, alcuni comportamenti utili a formare figli orgogliosi dei genitori.
1. Mantenere sempre le promesse: chi imbroglia perde la faccia, perde autorevolezza. 2. Essere coerenti: chi predica acqua e beve vino, non può essere preso sul serio. 3. Non perdere troppe volte il controllo: ciò denota debolezza interiore. 4. Ammettere di aver sbagliato: questo aumenta la credibilità dei genitori. 5. Resistere alle provocazioni: sovente i ragazzi ci mettono alla prova per verificare quanto siamo forti e autorevoli. 6. Essere concordi nella coppia. 7. Incoraggiare sempre: un ragazzo scoraggiato è un ragazzo perso. 8. Non permettere che i figli ci chiamino per nome. Il genitore è qualcosa di più e di diverso di un compagno. È un educatore e non un complice. Luciano Verdone