I NONNI DI DOMANI

By carlo napoli
Pubblicato il 26 Febbraio 2021

Parlavo di Cristianesimo con un ragazzo quindicenne. E lui, bloccando la discussione, come a dire che non gli interessava, mi ha detto candidamente: “Ma io non sono credente”. Sono rimasto sorpreso. Mi sarei aspettato una frase così da un adulto. Magari da un uomo o una donna che attraverso dolorose vicende personali fossero giunti a un rifiuto della fede. Ma da un adolescente, no. Lo guardavo, un filo di peluria non ancora barba, un atteggiamento sicuro, un viso intelligente, la voce aspra e roca che segna la pubertà.

Non è un mistero che il Cattolicesi-mo sia in crisi profonda. Lo dicono le statistiche, lo provano le cerimonie liturgiche con poca gente, lo testimoniano le decine di abbazie e conventi ormai vuoti che per sopravvivere si sono trasformati in “bed and breakfast” o in luoghi laici di meditazione yoga. Un amico professore di liceo mi ha riferito che nella sua classe molti ragazzi sono insensibili al problema religioso. C’è però una differenza: il ragazzo che ascoltavo apparteneva alla generazione attuale, la generazione dei social. E allora ho ripensato alla mia generazione per un raffronto. Certo, anche nella mia classe, al liceo, c’era chi non credeva. Però c’era una sorta di pudore nel dirlo, come una vergogna per essere fuori dal coro. Ma soprattutto c’era in chi credeva e in chi non credeva un impianto culturale, un coinvolgimento intellettuale. Molti di noi avevano letto Romano Guardini o Josef Piper o Sertillanges che pubblicava la Morcelliana di Brescia, mentre i cosiddetti “atei” citavano Gide, Marx, Engels. C’era in tutti un sostrato di buone letture, magari mal digerite, ma letture. E allora mi chiedo: chi formerà questi ragazzi così arcisicuri delle loro idee, così sprezzanti per una fede che sentono arcaica? Se fossimo stati in Russia, nella Russia sovietica avrei detto a bassa voce: ci sono le babushke, le vecchie nonne che hanno mantenute vive le tradizioni della Chiesa ortodossa anche nel rigore staliniano. Ma in Italia? Esistono per fortuna anche da noi i nonni, “l’ultima generazione” di nonni, non perché non ve ne siano altre in futuro ma perché quella attuale, quella dei settanta, ottanta o anche novanta porta ancora in sé un patrimonio di tradizioni che non si sono spente. Ma i genitori di oggi saranno la generazione dei vecchi domani, cresciuta fra difficoltà economiche, con ansie di carriera, fra lavoro e disoccupazione, fra impieghi a tempo e smart working, con madri bisognose di realizzarsi o stressate dalla necessità di un secondo guadagno in famiglia. Penso a tanti medici costretti da una sanità parsimoniosa a correre da uno studio all’altro, dall’ospedale alla clinica privata. Penso agli insegnanti obbligati a un secondo lavoro nelle scuole paritarie o sfiniti da ore e ore di ripetizioni. Penso a chi è nel commercio, angosciato dalla concorrenza cinese, dal Covid, i fallimenti a catena… Ecco sarà questa la generazione dei nonni di domani che dovrà trasmettere una fede che loro stessi non hanno. E non avranno mai avuto tempo di discutere coi figli, di insegnare una preghiera, di accennare a qualcosa che è oltre la vita.

Ho ritrovato alcune bellissime righe di un grande storico, Federico Chabod, laicissimo e non credente: “Non possiamo non essere cristiani perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare, in guisa incancellabile e la profonda diversità fra noi e il mondo degli antichi è proprio dovuta al verbo cristiano”.

Domanda: i nonni di domani sapranno parlare di tutto questo agli adolescenti scettici e incolti?

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