“I FIGLI SONO BAGAGLI”

Gli effetti della pandemia sull’infanzia e l’adolescenza
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 28 Agosto 2021

La politica – afferma la giornalista Annalisa Cuzzocrea – non guarda ai bambini e ai ragazzi fin quando non raggiungono il diritto di voto al compimento dei 18 anni. In Italia non si è pensato a un modello che tenesse insieme l’essere madre e l’essere donna”

La pandemia è stata un formidabile acceleratore di processi. Le carenze e le disfunzioni del passato sono emerse in tutta la loro drammaticità. Come, ad esempio, l’assenza di politiche efficaci e lungimiranti per l’infanzia e l’adolescenza. La narrazione prevalente di questo tempo è che le vittime siano state prevalentemente gli anziani, i quali hanno pagato in termini di vite umane il tributo più gravoso di tutti. Certamente è vero ma i bambini e gli adolescenti, isolati in casa soprattutto durante il lockdown della primavera 2020, sono completamente scomparsi dal dibattito pubblico. Questo è il punto di partenza dell’inchiesta di Annalisa Cuzzocrea, giornalista di Repubblica e madre di due figli, Carlo e Chiara, nel libro Che fine hanno fatto i bambini – Cronache di un Paese che non guarda al futuro (Piemme). In copertina, campeggia l’immagine di un bambino con il megafono come a dire: “Esisto anch’io”. Ci sono voluti mesi per capire le pesanti conseguenze per bambini e ragazzi in seguito alla chiusura delle scuole e all’isolamento nelle case. Quando si è parlato di scuole, ad esempio, il dibattito si è concentrato sui banchi a rotelle, sulla didattica a distanza, sull’alternanza chiusura/apertura (altro che scuola-lavoro). Discussioni irritate, qualche sparata, numeri a caso e la questione finiva lì. L’idea di proteggere i bambini rinchiudendoli in casa, secondo Cuzzocrea, si è rivelata tragica e sbagliata e spia di una concezione generale molto parziale: “I bambini sono considerati bagagli appresso dei genitori, appendici affidate alle loro cure, non cittadini degli spazi che abitano, quasi mai pensati per chi ha meno di 18 anni”.

Il viaggio-inchiesta di Cuzzocrea tocca diversi luoghi d’Italia. Alcuni personali, come l’asilo storico di Wilma Mosca frequentato a Roma dai suoi figli Carlo e Chiara, e altri, come i Quartieri Spagnoli a Napoli, luogo emblematico delle profonde disuguaglianze accentuate dalla pandemia anche all’interno dello stesso Paese con i quartieri disagiati e le periferie abbandonate dallo Stato e “ricuciti”, in un’opera paziente, da associazioni di volontariato e fondazioni che hanno fornito tablet per la Dad (didattica a distanza), ad esempio, o creato occasioni d’incontro in luoghi aperti e poco affollati.

La questione della scuola è centrale soprattutto, spiega l’autrice, per come (non) è stata affrontata dal governo che non l’ha messa tra le priorità della sua agenda. “Durante il primo lockdown – racconta – ho scoperto quello che avevo sempre percepito da madre, e che poi ho capito da giornalista: c’è un problema di invisibilità dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. La politica non guarda ai bambini e ai ragazzi fin quando non raggiungono il diritto di voto al compimento dei 18 anni”. L’idea del libro è nata nella sera in cui il governo Conte incontrava la Commissione Colao. Tutte le sue fonti le comunicarono che durante quella riunione-fiume durata più di otto ore nessuno parlò di scuole, chiuse improvvisamente senza un orizzonte temporale, e senza permettere ai bambini neanche di recuperare i propri libri e quaderni lasciati nelle aule. Mentre agli adulti veniva dato il permesso di tornare a lavoro costruendosi open-space e organizzando gli uffici in modo nuovo, i loro figli erano condannati a una reclusione senza scadenza. “In un suo discorso Emmanuel Macron ha detto invece che avrebbe tenuto aperte le scuole ad ogni costo, non per lo spirito illuminista francese, ma perché l’istruzione pubblica efficace è una questione anche strategica ed economica, sulla quale l’Italia punta molto meno rispetto ai paesi del Nord Europa”.

Anche nella seconda ondata d’autunno la scuola è rimasta ai margini delle decisioni politiche con le Regioni, in ordine sparso, pronte a sacrificare la Dad a scapito della frequenza in classe.

Cuzzocrea si sofferma anche sulla condizione di madre e lavoratrice: “Noi donne – nota – siamo cresciute con la cultura della Madonna col Bambino. Risentiamo della cultura cattolica. Nel momento in cui abbiamo pensato al movimento femminista l’abbiamo portato avanti come liberazione del corpo e della donna”. Un passaggio fondamentale questo per la giornalista, che ammette: “In Italia non si è pensato a un modello che tenesse insieme l’essere madre e l’essere donna. Quindi quando siamo madri cerchiamo di vivere la nostra genitorialità come una performance, cercando di essere perfette e capaci di seguire i nostri figli come delle ombre e allo stesso tempo essere precise sul lavoro senza chiedere permessi speciali ai colleghi che non hanno figli”. Una perfezione che viene richiesta alle donne proprio perché in Italia i figli sono considerati ancora un fatto privato e non pubblico. Perché nelle donne continua a scattare un senso di colpa nel momento in cui i figli vengono affidati ad altri spazi sociali educativi che dovrebbe essere lo Stato stesso a finanziare, non le famiglie, che poi si ritrovano costrette a scegliere tra figli e lavoro.

Gli adulti – spiega Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e scrittore, una delle voci ascoltate da Cuzzocrea – tendono ormai a intervenire sui bambini con modelli stereotipati. Non esistono più il bambino reale, il suo bisogno, la sua esigenza. Così assistiamo a due fenomeni opposti: una precocizzazione dell’infanzia, con la creazione di questo bambino adultocentrico; e un’infantilizzazione dell’adolescenza, quando cominciamo a pretendere dai nostri figli cose che non abbiamo mai preteso. Standogli addosso, dicendo: non puoi fare questo, non puoi fare quello”.

Le conseguenze sono evidenti: l’attaccamento prolungato, l’ipercontrollo, la sorveglianza continua. e poi un altro fenomeno: il venir meno della “comunità educante” del passato che ha messo tutto il peso e le responsabilità sulle spalle dei genitori (spesso, solo uno) che, non di rado, puntano tutto sulla riuscita dei figli e cercano di rimuovere ogni ostacolo, evitare ogni sofferenza, dimostrare di essere il migliore genitore del secolo. Come dice lo scrittore Giacomo Papi, “la nostra è la prima generazione di genitori che vivono questo ruolo come performance”. La scrittrice Nadia Terranova parla addirittura della “sparizione dell’infanzia che ci rimanda a qualcosa di metaforico, di più grande”. È una rimozione: molti preferiscono non ricordare quel che provavano o pensavano da bambini. “Come se l’unico modo di crescere fosse una cesura e non, invece, la capacità di tenere insieme tutto. Parte da qui – sospettiamo entrambe – la scarsa propensione a guardare i più piccoli per quello che sono davvero. Sigillandoli nello stereotipo, costringendoli in una dimensione in cui è l’adulto a stabilire cosa hanno il diritto di dire, provare, pensare. Tutto quello che scarta, ci spaventa. Tutto quello che spaventa, lo allontaniamo”.

Il viaggio di Cuzzocrea va anche oltre e racconta i bambini stranieri, i disabili, i figli dei carcerati, le situazioni di disagio e di emarginazione, soprattutto nel Sud del Paese. Domande che meriterebbero una risposta da parte delle istituzioni.

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