I DUBBI RESTANO
Non ci sarebbe alcuno scandalo nel restituire parte dei soldi avuti dall’Unione europea. Anzi, sarebbe una dimostrazione di serietà pur nell’ammissione di non essere riusciti a realizzare, nei tempi previsti (entro la fine del 2026), tutti i progetti. E, dunque, non aveva tutti i torti Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera della Lega, quando non escludeva di poter rinunciare a qualche prestito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Molinari, come ricorderete, è stato smentito dalla premier Giorgia Meloni e da tanti altri suoi colleghi di maggioranza. Mai l’esponente della Lega, stando all’opposizione, avrebbe detto una cosa simile. E probabilmente avrebbe ceduto anche alla facile tentazione di accusare maggioranza ed esecutivo di essere incapaci di spendere.
Una volta al governo, i problemi di gestione – e quelli dell’intero Pnrr hanno un elevato grado di complessità – emergono con una logica ferrea che può dar luogo a due distinte reazioni. La prima, assai diffusa tra i suoi colleghi di coalizione, è quella – oltre a confermare tutti gli impegni – di addossare un po’ di colpe al precedente esecutivo (nel quale peraltro c’erano sia la stessa Lega sia Forza Italia). Non è che il governo Draghi non abbia responsabilità, sia chiaro. Alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2026 apparivano irrealizzabili anche nell’autunno scorso. Giorgia Meloni si è impegnata ad accelerare i tempi. Il ministro per i Rapporti con l’Europa Raffaele Fitto, dopo aver ammesso difficoltà e ritardi – peraltro ben dettagliati dalla Corte dei Conti – promette una gestione più attenta, oltre a una revisione dei programmi. La seconda reazione, al contrario, è figlia di un più maturo senso di responsabilità. Agli occhi dei creditori – in questo caso governi ed elettorati di altri Paesi che hanno garantito l’emissione di debito comune per il Next Generation Eu – sarebbe più accettabile, e dunque scusabile, la restituzione di ciò che non si riesce a investire anziché lo scialo in progetti inutili.
A differenza dei fondi di coesione europei, sussidi e prestiti dei piani europei, lanciati dopo la pandemia e la crisi energetica, hanno come scopo principale quello di rendere più efficiente, competitiva e sostenibile l’intera Unione, non solo di finanziare la ripresa dei Paesi più deboli e colpiti. Insomma, restituendo i soldi non si fa una bella figura, ma dando prova di averli impiegati male se ne fa una decisamente peggiore. Con un’aggravante, si preclude del tutto la ripetizione in futuro di programmi solidali attraverso l’emissione di debito comune come avvenuto per il Pnrr. La soluzione migliore ovviamente resta quella di fare tutto in fretta e bene. E ce lo auguriamo. Ma davvero crediamo – tanto per fare un esempio – che tutti i Comuni che hanno partecipato ai bandi (solo 6 non hanno chiesto nulla), molti dei quali, specie nel Mezzogiorno, in dissesto finanziario, siano in grado – senza un aiuto e qualche forma commissariale – di completare in tempo i lavori? E soprattutto sono tutti progetti utili? I dubbi restano.