“L’innovazione digitale […] incide sul nostro modo di comprendere il mondo e anche noi stessi. È sempre più presente nell’attività e perfino nelle decisioni umane, e così sta cambiando il modo in cui pensiamo e agiamo. Le decisioni, anche le più importanti come quelle in ambito medico, economico o sociale, sono oggi frutto di volere umano e di una serie di contributi algoritmici. L’atto personale viene a trovarsi al punto di convergenza tra l’apporto propriamente umano e il calcolo automatico, cosicché risulta sempre più complesso comprenderne l’oggetto, prevederne gli effetti, definirne le responsabilità» (papa Francesco discorso ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, 28 Febbraio 2020).
Che il papa utilizzi la parola “algoritmo” in un discorso rivolto ai convegnisti romani della Pontificia Accademia per la Vita può dare la sensazione che i tempi siano mutati. Ed effettivamente nella riflessione degli ultimi anni non solo la parola algoritmo, ma anche robot, intelligenza artificiale stanno uscendo dalla nicchia degli esperti informatici per proporsi al mondo come parti di un nuovo paradigma di vita quotidiana.
Nel nostro futuro la cartella clinica non verrà gestita soltanto dai discreti occhi umani dell’infermiera o del dottore, ma passerà anche attraverso le vie digitali e nella memoria elaborativa dei computer che tramite l’algoritmo aiuteranno sempre più il dottore (umano) a prendere decisioni sulla nostra salute. Sono già molti gli esempi in cui la macchina ritrova nelle Tac (o altri esami) quei tenui segni di malattie che sarebbero sfuggiti all’occhio di uno stanco dottore oberato da troppo lavoro. L’unione fa la forza: la macchina impara dagli esempi del dottore reale, e il dottore si avvale di pre-analisi che la macchina dà in modo automatizzato.
Non solo: l’algoritmo sarà chiamato a interpretare anche i nostri dati vitali giornalieri che diventeranno sempre più big data man mano che dispositivi come lo smartwatch saranno capaci di trasformare in flussi di bit informativi l’evento del nostro cuore che batte o della pressione arteriosa che è o meno nella norma. Questo permetterà una prevenzione maggiore, una diagnosi precoce e in definitiva una vita migliore e più lunga.
Ma d’altra parte non occorre nascondere i problemi che vengono sollevati da questa massificazione di dati personali. Chi ne garantirà l’anonimato nel caso dell’utilizzo per università o enti di ricerca? Chi sarà responsabile del loro fine medico piuttosto che politico, economico, amministrativo? Sappiamo già come le grandi big company, e in generale il nostro modello tecno capitalista, vada alla ricerca dei dati comportamentali (Cosa clicca l’utente? Cosa legge? Cosa compera? Cosa vede?) per prevedere trend di mercato o per pubblicizzazione con profilazioni personali. Se i dati comportamentali hanno già sollevato questioni e ricorsi, c’è da immaginare che analogamente e maggiormente succederà per il nuovo scrigno dei dati sanitari.
Rimane dunque aperta la questione del futuro. Siamo di fronte a enormi sfide, che riguardano il mondo oramai in piena globalizzazione (virus docet). L’uso dell’intelligenza è quello che contraddistingue l’umano. Speriamo che sia intelligente da usare in modo buono… anche gli algoritmi!