HONG KONG SCENDE IN PIAZZA

Da diecine d’anni non capitava che un governo duramente autoritario, come l’attuale cinese, ritirasse un provvedimento di legge di fronte alle proteste popolari. Si tratta della legge che voleva imporre l’eventuale trasferimento dei cittadini di Hong Kong, che gode di uno statuto speciale, in Cina nel caso di reati commessi contro la Repubblica Popolare Cinese. La rivolta durava da tre mesi, con una serie di proteste che si sono prolungate in manifestazioni popolari di massa, blocchi della città invasa da alcune centinaia di migliaia sino a quasi due milioni di gente che protestava. L’estradizione potrebbe riguardare studenti, poco rispettosi della Repubblica Popolare, economisti e commercianti con qualche problema con il fisco, oppositori politici.

Ci sono stati scontri violenti con la polizia che ha caricato i dimostranti, investendoli con getti d’acqua e sparando proiettili di gomma. Il governo, rappresentato da una fedelissima di Pechino, Carrie Lam, non ha, in un primo tempo, fatto concessioni ed è andato avanti per la sua strada, scatenando l’ira dei dimostranti. Ma, dopo quattordici settimane di occupazione della piazza e della tensione che ha percorso la città (sette milioni di abitanti, una delle piazze finanziarie più importanti dell’intera Asia e dell’economia cinese), la contestazione fra i cittadini hongkonghesi e il potere si fa sempre più critica. Non basta il ritiro della legge, dicono i “ribelli”, perché esigono una commissione di inchiesta sulla polizia che non ha risparmiato la forza, causando diecine di feriti; fra loro tra l’altro si sono infiltrati reparti non regolari, che hanno inquinato le varie marce. I manifestanti chiedono anche la liberazione del migliaio di arrestati, la fine delle azioni legali contro di loro, la reintroduzione del suffragio universale (questa possibilità era stata negata cinque anni fa, suscitando una prima rivolta, la cosiddetta “rivolta degli ombrelli”).

Dal giugno 2019 le forme di ribellione si sono moltiplicate e spettacolari sono state le foto rappresentanti le centinaia di migliaia di persone che avevano invaso le strade della città. Anche le metropolitane e l’aeroporto sono stati bloccati in un paio di circostanze, provocando notevoli guai economici.

L’atteggiamento della Chiesa è stato di cauto appoggio, e ha fatto presente come tutti i problemi vadano risolti con spirito di pacificazione e di dialogo. L’autorità ha però posto ostacoli alla tenuta di processioni, proibendo canti religiosi come l’Alleluja che, tuttavia, sono stati intonati lo stesso. La polizia ha picchiato giovani che manifestavano, i quali sono stati accolti in una parrocchia, cosa che ha irritato le autorità locali.

Il governo di Pechino è preoccupato perché teme che questa atmosfera di tensione conduca a una crisi economica della piazza finanziaria, come si sta già verificando: prima dell’unificazione del 1997, in base al principio “una Cina, due sistemi” (che già a suo tempo non fu accettato da tutti), Hong Kong drenava il 20 per cento dell’economia cinese, attualmente si limita al 3 per cento, tenendo conto che in dieci anni Pechino, in parziale recessione, è calata al 6,2 per cento.

La situazione non sta migliorando dopo la decisione del presidente americano Donald Trump di sottoporre l’economia cinese a una serie di dazi che ne mettono in difficoltà l’esportazione; e il problema Hong Kong fa parte dell’insieme. L’opinione pubblica internazionale si chiede quale possa essere lo sbocco della crisi della penisola. Pochi credono che la questione si fermi qui e che Pe-chino, in un modo o nell’altro, non cerchi di ricondurre il territorio sotto il suo pieno controllo, magari riducendola a una semplice appendice della Repubblica Popo-lare. Ci si devono così attendere altre tensioni, anche a livello internazionale, perché la Cina potrebbe essere accusata di aver violato gli accordi a suo tempo assunti.

Ma quest’anno 2019 il governo di Xi Jinping si appresta a festeggiare i settanta anni della fondazione del più grande paese del mondo che si accinge a diventare potenza egemone e probabilmente non vuole essere disturbato in queste sue celebrazioni, perciò la richiesta degli oppositori, liberare Hong Kong, la rivoluzione del nostro tempo, certamente rischia di non essere accolta con favore.

Fra l’altro il governo cinese sta facendo di tutto per sinizzare l’isola, attraverso particolari provvidenze (costruzione di case, facilitazioni economiche, prestiti finanziari) concesse a chi accetta di trasferirsi a Hong Kong e dintorni. È una politica che sta attuando anche in altre parti del paese. Probabilmente la sorte è segnata al di là dal destino della legge di estradizione.