HA VINTO IL LEONE DELLA TRIBÙ DI GIUDA

È Gesù questo leone vittorioso, noi però non lo avevamo riconosciuto perché si è voluto mostrare a noi come Agnello indifeso affinché una volta aperti gli occhi della fede noi potessimo sempre vedere all’opera la vittoria del leone lì dove incontriamo la debolezza dell’agnello nella nostra e nell’altrui vita (di Luigi Maria Epicopo)

La Pasqua per un cristiano non fa parte semplicemente di quell’armamentario tradizionale che abbiamo ricevuto in dote da bambini. La Pasqua è il punto di vista da cui dovremmo imparare a rileggere tutta la nostra vita, perché nella vittoria di Gesù sulla morte c’è la rivoluzione di ogni prospettiva. Detto così potrebbe sembrare molto astratto, ma basta seguire la vicenda di Gesù per accorgersi dell’estrema concretezza di questa prospettiva.

Se seguiamo, ad esempio, il filo della narrazione del Vangelo di Marco, ci accorgeremo che la prima parte della vita pubblica di Gesù è avvenuta tra le folle e le acclamazioni della gente. Pochi ascoltavano veramente ciò che Egli aveva da dire, ma i miracoli da Lui operati facevano crescere a dismisura la Sua fama. La cosa che colpisce è che Gesù non ha mai avuto intenzione di usare i miracoli per farsi strada nel cuore delle persone, e proprio per questo basta leggere per bene il Vangelo per rendersi conto che la Sua vera preoccupazione era la compassione per i drammi umani, per alcune situazioni invincibili, per quelle disperazioni che non avevano vie d’uscita, e proprio per questo provocavano in Lui “la potenza del miracolo”, ma allo stesso tempo Egli impediva ai graziati di divulgarlo. C’è però una sorta di disobbedienza generalizzata che non faceva tacere i miracolati dal raccontare la grazia ricevuta, ed è a causa loro che attorno a Gesù cresce una fama enorme: “al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte” (Mc 1,45). Eppure il Suo messaggio non aveva nulla a che vedere con la gloria di questo mondo. Egli non è un Messia che vuole imporsi, ma un Messia che vuole offrirsi. Egli non educa al possesso, ma al dono.

Ma ecco che man mano che Gesù comincia a spiegare il significato della Sua missione e dell’esperienza della Croce, le folle diminuiscono, i numeri diventano così risicati che alla fine “fuggirono tutti”, discepoli compresi. Eppure, continua a dirci il Vangelo di Marco, sotto la Croce c’è un centurione romano che fa un’imprevedibile professione di fede: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). La fede cristiana è imparare a riconoscere il Figlio di Dio quando è appeso sulla Croce e non quando è applaudito dalla gente come un guru qualunque di questo mondo. Un pagano romano è il primo a inaugurare una fede diversa, la fede che nasce dalla logica della Croce. E la logica della Croce non è un malato amore per la sofferenza, ma la logica di chiunque ama seriamente. Infatti l’amore consiste in una cosa molto semplice: dare la vita. È smettere di usare gli altri per essere felici noi, e cominciare a sperimentare una gioia più grande nell’imparare a dare noi la vita per gli altri. Agli occhi del mondo sembra una logica perdente che ci rende eccessivamente vulnerabili e che molto spesso non ripaga, ma il messaggio della Pasqua è esattamente questo: con la morte in Croce tutti credono che sia tutto finito, ma ecco che tre giorni dopo Gesù mostra loro che ciò che consideravano la fine in realtà era l’inizio di qualcosa di nuovo, di diverso, non più soggetto alle regole di questo mondo. La porta dell’eternità passa attraverso le logiche dell’amore che dà la vita fino all’estreme conseguenze, ma invece di sperimentare la frustrazione di una fine, ciò che sembra un muro diventa invece un “passaggio”, appunto una Pasqua.

È lo stesso passaggio che il popolo di Israele secoli prima aveva compiuto la notte in cui Dio li aveva liberati dagli Egiziani. È il passaggio attraverso il Mar Rosso che davanti a loro si prospettava come un vicolo cieco mentre erano inseguiti dal faraone, e che Dio, invece, trasforma in una strada.

È il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Ma la vera schiavitù è quella del male, quella che ci costringe nelle catene del peccato, dell’egoismo, della libertà impazzita.

Ecco perché la suggestiva liturgia della Veglia Pasquale, ci fa ascoltare tutta la storia della salvezza mostrandoci come Gesù sia il compimento di ciò che per millenni abbiamo desiderato, aspettato e visto prefigurato in molte vicende dell’Antico Testamento e forse anche delle nostre stesse vite. Nel buio di quella notte si benedice il “fuoco nuovo” da cui sarà acceso il cero pasquale, simbolo di Gesù Risorto. La luce è così la chiave di lettura di tutto perché grazie ad essa cominciamo a vedere ciò che fino a ieri vivevamo solo a tentoni. È la luce di Gesù Risorto l’unica luce autorizzata che possiamo utilizzare per rischiarare le vicende della nostra vita. Il male finge di essere luce, ma usa semplicemente il dolore, le ingiustizie, le colpe per farci disperare e per rubarci ogni speranza. La Pasqua è allora l’unica prospettiva da cui possiamo vedere il dolore degli innocenti, la sofferenza di chi è schiacciato dall’ingiustizie della vita, il fallimento di chi si vede rubato tutto dalla guerra, la fatica che quotidianamente facciamo nel combattere quasi sempre con le stesse cose. Ogni cosa di questo elenco basterebbe da sola a farci disperare, ma se avviciniamo la luce della Pasqua allora scorgiamo qualcosa che prima non si riusciva a vedere: vediamo la misteriosa Grazia di Dio che continua ad agire lì dove ogni donna e ogni uomo sono crocifissi. Gesù è sceso in quel buio, lo ha abitato, si è lasciato inchiodare e ha fatto ciò che noi non avremmo mai potuto fare: ha vinto!

“Ha vinto il leone della tribù di Giuda” (Ap 5,5), così recita uno dei vegliardi nel racconto dell’Apocalisse. È Gesù questo leone vittorioso, noi però non lo avevamo riconosciuto perché si è voluto mostrare a noi come Agnello indifeso affinché una volta aperti gli occhi della fede noi potessimo sempre vedere all’opera la vittoria del leone lì dove incontriamo la debolezza dell’agnello nella nostra e nell’altrui vita.