Da una parte Betlemme, a circa cinque chilometri, dall’altra, a dodici chilometri, Gerusalemme. In mezzo, una suggestiva e luminosa valle della Giudea dove sorge la Cantina Cremisan che prende il nome dalla collina in cui dal 1885 si coltiva la vite e si produce il vino. Siamo a 850 metri sul mare. Un tempo ospitava la casa di istruzione religiosa fondata dal missionario italiano padre Antonio Belloni che, conosciuto don Bosco, decise di far parte della congregazione salesiana in modo da sostenere le sue attività sociali in Terra Santa. Oggi l’area dove sono appoggiati il convento e la nuova cantina, grazie al costante e amorevole lavoro della comunità rappresenta un’ambita meta turistica, merito anche di una delle più antiche pinete della regione impreziosita da ulivi secolari e splendidi vigneti. E proprio i vigneti sono i protagonisti di una bellissima storia di collaborazione multiculturale e di dialogo, interreligioso che vogliamo raccontarvi. Perché al centro di tutto, come sempre, c’è la persona che entra in dialogo e non le religioni con le loro verità e i loro dogmi. Come ci ricorda spesso papa Francesco, infatti, l’atteggiamento primario dell’uomo dev’essere di apertura nella verità e nell’amore. Ognuno fermo nelle convinzioni più profonde ma nello stesso tempo pronto ad accettare “l’altro” e quindi il suo diverso modo di essere, di pensare e di esprimersi. Ciò è stato messo in pratica alla perfezione in questo lembo della Palestina ricco di fascino e storia dove appunto sorge e vive con ottimi risultati la Cantina Cremisan. Per capirci il monastero dei salesiani e la cantina sono situati nella cosiddetta Zona C, una terra palestinese con amministrazione israeliana. Qui, proprio grazie all’intelligenza e al buon senso privo di pregiudizi, musulmani e cristiani lavorano ogni giorno fianco a fianco mettendo in un angolo vizi e peccati, spesso “contagiosi”, di una società individualistica che tanti danni genera… Così, nonostante i muri divisori, i fili spinati, i soldati armati fino ai denti e i check point nati come funghi, una corretta relazione fondata su una comune volontà è riuscita a dar vita a un dialogo produttivo di reciproca accettazione e pacifica convivenza. Con un chiaro messaggio al mondo intero: basta ad alzare muri. Le uniche costruzioni per cui vale la pena spendersi devono essere i ponti. Quelli che conducono alla conoscenza e al rispetto dell’altro.
Ma torniamo all’uva, questo gradevole e prezioso frutto che è riuscito magicamente a mettere d’accordo cristiani e musulmani dimostrando quanto sia importante vivere la dimensione religiosa sul piano comunitario. La pluralità, è bene ricordarlo, è sempre un arricchimento e non una diminutio. Qui, dunque, il vino prodotto ha il sapore della solidarietà. Tra operai, impiegati e lavoratori stagionali sono oltre 30 le persone sul libro paga e la produzione annua è di circa 170 bottiglie di vino. Una percentuale minore delle uve è di proprietà dei salesiani, il resto invece arriva dai contadini locali. La qualità, negli anni, stando alle recensioni e ai commenti di esperti, è salita di livello grazie soprattutto allo sguardo e alla mano di esperti come ad esempio Riccardo Cotarella, enologo di fama internazionale, docente universitario e apprezzato consulente di oltre 120 cantine sparse nel mondo, tra cui le aziende vinicole di Massimo D’Alema e Bruno Vespa.
Star of Bethlehem è il nome della linea dei vini e, a differenza delle cantine israeliane che hanno volto lo sguardo ai vitigni internazionali, come ad esempio il Cabernet Franc e il Sauvignon, Cremisan ha scelto la via autoctona puntando in particolare su due etichette: il bianco Dabouki e il rosso Baladi. Oltre al vino la Cantina Cremisan si fa apprezzare anche per un brandy invecchiato 35 anni che ha conquistato già i palati di Giappone, Francia, Germania e dell’immancabile paese a Stelle e Strisce. E a breve la gamma delle produzione si arricchirà anche di una “linea birra”. La struttura salesiana, però, in questo angolo di terra non ha solo “Bacco” come amico…, visto che oltre alla produzione di vino e brandy, il cui profitto aiuta a sostenere le missioni e le tante attività formative riservate a oltre 1600 studenti delle scuole di don Bosco in Terra Santa, è anche proprietaria di un forno, il più antico di Betlemme, che da anni assicura gratuitamente il pane a oltre 160 famiglie palestinesi e ad altre 100 lo vende a un prezzo quasi simbolico. Anche in questo caso l’offerta è variegata con ben 15 tipi di pane per soddisfare ogni palato.
Papa Francesco ha proprio ragione, giorno dopo giorno tutti noi, nessuno escluso, dobbiamo lavorare affinché si affermi sempre più la tendenza a “concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune”.