GLI INTRAPPOLATI DI CONFINE
Ventimiglia e Como sono lasciate a sé stesse, senza un sostegno concreto da parte del governo centrale. Molti migranti, donne, bambini adolescenti spesso minori non accompagnati, stazionano in alcune zone della città, oppure nei centri di prima accoglienza che non hanno gli strumenti per fronteggiare situazioni delicate e a rischio come quelle di giovani e donne
Nel dramma dei migranti che arrivano nel nostro paese sperando di poter raggiungere parenti e amici in Europa e di scappare dal dramma della guerra in Africa e in Medio Oriente, a fare da frontiera non è solo Lampedusa ma anche le città del Nord Italia che stanno soffrendo la chiusura delle frontiere da parte di Francia e Austria, come Ventimiglia e Como. È quanto riporta il rapporto di WeWorld Diritti confinati reso noto in occasione della Giornata internazionale dei migranti. “Molto spesso sentiamo ripete la frase emergenza migranti ma ci teniamo a sottolineare che la chiusura parziale della rotta balcanica, non ha avuto influenze di rilievo sui flussi diretti verso l’Italia: i migranti arrivati sulle nostre coste nel 2016 sono 159.410, a fronte dei 153.842 arrivati nel 2015. Semmai è la chiusura delle frontiere che ha avuto forti ripercussioni sul contesto italiano: i migranti che sbarcano in Italia vi rimangono intrappolati”, commenta Stefano Piziali, responsabile Advocacy e Programma Italia di WeWorld.
Ventimiglia e Como sono lasciate a sé stesse, senza un sostegno concreto da parte del governo centrale. L’istituzione dei campi di accoglienza della Croce Rossa, uno per città, sono risposte insufficienti e inadeguate, dettate più dall’emergenza del momento e non risolutive del problema. Molti migranti, donne, bambini adolescenti spesso minori non accompagnati, stazionano in alcune zone della città, oppure nei centri di prima accoglienza – anche questi insufficienti, sovraffollati, con scarsità di servizi igienici – che non hanno gli strumenti per fronteggiare situazioni delicate e a rischio come quelle di giovani e donne. Con le frontiere chiuse, queste persone rimangono intrappolate qui, senza avere la possibilità di proseguire il viaggio verso altri paesi europei. L’Italia infatti è una tappa intermedia di lunghi viaggi alla ricerca di un futuro migliore, nella maggior parte dei casi si tratta di ricongiungimenti familiari lontani da guerre, violenze e soprusi.
Il rapporto di WeWorld evidenzia invece come vuole le iniziative restrittive da parte degli stati europei, poco disposti a condividere le responsabilità e più propensi a esternalizzare il controllo dei flussi di migranti, stanno avendo forti ripercussioni sui migranti stessi e i loro progetti migratori, sui paesi d’approdo come Italia e Grecia, e sulle città di frontiera dove il sistema d’accoglienza è al collasso e i trafficanti ne approfittano per i loro affari illeciti a danno dei migranti. “Chiudere le frontiere non è una soluzione, e non fa altro che contribuire a peggiorare le condizioni di vita dei migranti, già segnate da lunghi viaggi ed esperienze traumatiche”, continua Piziali. Il sistema d’accoglienza italiano cerca in qualche modo di gestire i continui flussi di migranti, ma sempre in un’ottica di emergenzialità e con enormi difficoltà. Di contro, ancora una volta, sono gli attori della società civile italiana ad attivarsi per i migranti. Sia a Ventimiglia sia a Como solo le iniziative dal basso da parte di organizzazioni no profit, del volontariato o dei singoli cittadini riescono a fare la differenza, offrendo supporto ai migranti e colmando le carenze del sistema. Ma si tratta di risposte e azioni spontanee, spesso non organizzate e strutturate che, pur essendo essenziali, da sole non bastano a proteggere e promuovere i diritti dei migranti.
Le maggiori criticità riguardano i bisogni primari: i migranti hanno bisogno di cibo, vestiti, coperte, un tetto sotto cui dormire, cure e assistenza. Tra di loro ci sono uomini, donne, famiglie intere con bambini, minori non accompagnati, ragazze incinte. Hanno bisogno di informazioni circa il proprio status e i propri diritti, le alternative (quando vi sono) possibili per andare in altri paesi europei e regolarizzarsi, le conseguenze del rimanere irregolari. Insomma, hanno bisogno di informazioni burocratico-legali. Cosa che spesso non viene loro garantita. Una volta arrivati a Ventimiglia e Como, scoprono che la libertà di movimento non è per loro un diritto. A Ventimiglia solo il 9,3% dei migranti assistiti nel progetto WeWorld Ventimiglia migranti in transito dichiara di aver ricevuto informazioni legali allo sbarco.
Anche se a conoscenza delle procedure per la regolarizzazione, spesso i migranti preferiscono l’irregolarità alla macchinosa burocrazia dell’Italia e di altri paesi europei. Finora vi è stata la ricollocazione di soli 1.549 migranti dall’Italia (sui 39.600 previsti) e di 5.437 dalla Grecia (su 66.400 previsti). Una cifra irrisoria: si tratta solamente del 4% delle 160mila relocation programmate.
Metà dei migranti a Ventimiglia sono donne e adolescenti, quasi tutti minori non accompagnati che come gli adulti intendono proseguire il viaggio in paesi dove inoltrare domanda di protezione internazionale. Piuttosto che attendere un destino incerto, i migranti preferiscono allora rimanere irregolari e tentare di varcare i confini alla volta di altri paesi europei (a Ventimiglia solo il 7,5% dei migranti ha espresso il desiderio di fare richiesta di protezione internazionale in Italia). Il 24,30% dei migranti in transito a Ventimiglia ha apertamente dichiarato di aver subito violenza: in Libia, durante il viaggio sul barcone o in Italia, Grecia e Ungheria. Tra questi le donne sono