GLI INCERTI RISULTATI DI UNA CAMPAGNA FRA PAURA E ODIO
È difficile prevedere l’esito delle urne, anche perché, dai sondaggi, risulta che al momento un europeo su tre o quattro non ha deciso per chi votare (uno su tre in Italia)
I 380 milioni di potenziali votanti dei 27 stati membri dell’Unione Europea (dopo l’India il più numeroso corpo elettorale del mondo considerando la Cina fuori dagli schemi democratici) designeranno nelle prossime consultazioni fra il 23 e il 26 maggio 705 membri del nono Parlamento europeo; i suoi componenti sarebbero stati 751 se la Gran Bretagna non avesse fatto secessione con l’ormai nota Brexit, anche se probabilmente gli inglesi continueranno a votare (il divorzio con la UE in effetti non è ancora consumato), pur lasciando i loro deputati, come si dice, in frigorifero sino alla definitiva conclusione della vicenda.
Non è forse importante l’attuale suddivisione delle forze che attualmente compongono l’Assemblea, perché si prevedono notevoli mutamenti. Ma è bene fare memoria che, allo stato, il Partito popolare europeo conta 219 deputati, 189 i socialdemocratici, 71 i conservatori, 68 i liberaldemocratici, 52 i verdi ecologisti, 51 le sinistre nord-europee, 45 i fautori della democrazia diretta (fra i quali i 5 Stelle italiani, in numero di 15), 36 estremisti di destra, 20 senza partito. I risultati del prossimo maggio rivoluzioneranno questa classifica, con la prevista sostanziale tenuta dei popolari, il crollo del socialdemocratici, il rafforzamento dei verdi e probabilmente delle forze conservativo-liberali, insieme con successi della Lega e dei 5 Stelle, l’ingresso della destra tedesca AfD (Alternativa per la Germania), il potenziamento dei nazionalisti ed euroscettici nordici e altri mutamenti, probabilmente non marginali.
La campagna elettorale (di cui per il momento è possibile dare soltanto qualche cenno approssimativo) si presenta movimentata per la presenza in campo di forze non tradizionali. Gli estremisti tedeschi, i “sovranisti” italiani e polacchi, i fautori della democrazia diretta e, per contro, le rafforzate schiere dei verdi (in liste diverse), i francesi di en marche di Macron (per ora in testa ai sondaggi) e degli eventuali “gilet gialli”, le prospettive ch si aprono qua e là di nutriti schieramenti democratici e anti-sovranisti (fra i quali da noi un “fronte” che si contrappone a una Lega cui si attribuisce un sicuro successo). Le destre europee stanno conducendo una campagna rumorosa, anche se i recenti esiti delle consultazioni sia nazionali, sia regionali e locali hanno dato per loro risultati al di sotto delle attese. Come è accaduto in Germania con l’AfD, in Finlandia, in Olanda e nei Paesi baltici, dove gli estremisti (forse perché la gente è andata a votare) sono restati delusi e le varie liste pro-europee hanno spesso ottenuto inattesi successi.
Purtroppo un paio di elementi negativi caratterizzano la campagna elettorale: la paura e l’odio. In primo luogo il falso problema dell’invasione in Europa da parte degli extracomunitari, che alimenta fenomeni di rigetto razziali, traducendosi spesso in violenza e morte come è accaduto di recente da noi. Non a caso trovano consenso, da parte di quella che è stata definita la “suburra salviniana”, penosi episodi di rifiuto di sbarco nei confronti di profughi provenienti da tragiche situazioni. La demagogia viene sparsa a piene mani e, al di là dei proclami “prima gli italiani”, pochissimi i veri provvedimenti che risolvano il problema dei rientri, fra i quali quello dei minori che a migliaia vagano per la penisola (e anche in altri stati europei), possibili prede di associazioni criminali e oggetto di sfruttamento sul lavoro. Lo slogan “è finita la pacchia” si limita a svuotare i centri di raccolta e, dopo qualche comparsata di questo o quel ministro, le situazioni restano quelle di prima come a Napoli e in Puglia. Il secondo fenomeno da temere è l’odio, manifestato in piccoli e grandi episodi che coinvolgono gli stranieri, anche quelli che operano positivamente nel nostro paese (si sa che a loro è dovuta una parte consistente del Pil nazionale), a causa del colore della pelle. Non soltanto in Italia: lo dimostra il recente assassinio del sindaco democratico di Danzica, in Polonia, Pawel Adamovicz, oppositore del governo autoritario di Jaroslaw Kaczynski e fautore dell’accoglienza degli extracomunitari. Il delitto è opera di un ex detenuto che, nella prigione in cui ha trascorso cinque anni per reati comuni, era stato sottoposto al lavaggio del cervello da parte della televisione di stato che ha diffuso moltissimi articoli diffamatori su Adamovicz.
È difficile prevedere l’esito delle elezioni, anche perché, dai sondaggi, risulta che al momento un europeo su tre o quattro non ha deciso per chi votare (uno su tre in Italia). Questa nona consultazione interviene in un momento di crisi mondiale – tensioni di vario genere fra Stati Uniti, Cina e Russia, Medio Oriente dilaniato dai conflitti, terrorismo islamista in progressione – per cui è lecito avanzare la speranza che si svolgano in modo pacifico (cosa che dipende anche dal nostro modo di affrontare gli avvenimenti e gli avversari) e i risultati costituiscano un elemento di equilibrio nella complessa realtà internazionale.