GESÙ ASCENDE AL CIELO

By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 1 Maggio 2013

Gli Atti degli Apostoli così raccontano la solennità di Gesù che ascende AL cielo: “Ge-sù si mostrò agli apostoli vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalem-me, ma di attendere che si adempisse la promessa del padre: Quella – disse – che voi avete udito da me. Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni. Avrete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria, fino agli estremi confini della terra. Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo, e poiché essi stavano fissando il cielo, mentre egli se ne andava, ecco due uomini, in bianche vesti, si presentarono loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo con cui lo avete visto andare in cielo” (At 1,1-11).

Quanta delicatezza aveva avuto Gesù e quanta ne ha!

Facendosi uomo come noi, nascendo dal seno purissimo di Maria vergine, ha conosciuto la lunga tappa della preparazione alla missione avuta dal Padre, quella di insegnarci le vie della vita, che solo Dio conosce e sa.

Ma con la sua passione, morte e risurrezione, ci ha fatti uscire da quello stato di “esuli”, di “orfani”, dopo il peccato di superbia dei nostri progenitori, per riportarci là dove lui oggi è salito.

Senza la speranza che un giorno anche noi torneremo a casa, ci sarebbe solo la tristezza di chi vive in esilio, con il cuore che urla il suo desiderio di eternità, ma non ha le ali per arrivarci.

Oggi Gesù, davvero, come figlio dell’uomo, dopo averci aperto le porte del paradiso, ci precede, ci accompagna, per unirci a lui, nella sola casa dove l’uomo, se sincero, può desiderare di essere ospitato: l’eternità, il paradiso.

Bisogna essere morti dentro, per non sentire la voglia del cielo, di quella felicità, che è la sola aria respirabile, per il cuore di ogni uomo.

“Eppure l’universo – scriveva Paolo VI – non è chiuso. Tutte le sue linee si prolungano all’infinito e orientano il loro sguardo verso il polo invisibile, donde ogni cosa è misteriosamente magnetizzata. Il mondo è aperto ad una immensa aspirazione verso la pienezza, alla quale è sospeso tutto il suo avvenire. La sentiranno questa consolazione quelli a cui la terra non ha dato la felicità, e siamo noi tutti. Quelli specialmente i cui desideri furono ingiustamente delusi, quelli che sperarono invano il loro pane, la loro pace, il loro onore, il loro amore. Le beatitudini del vangelo sono per i poveri, i piangenti, gli umiliati, gli infelici. La speranza cristiana – che viene da Gesù asceso al cielo – è il grande conforto per il dolore del mondo. Guai a quelli che la spengono nel cuore del popolo che lavora e che soffre. La speranza cristiana è la grande certezza per coloro che combattono per un giusto ideale: suscita i poeti, i grandi ideali, i martiri, i santi, la speranza cristiana. Essa è la garanzia che compensa coloro che vivono senza godere e muoiono senza avere abbastanza vissuto: è il domani beato per chi non ha avuto il suo oggi completo. L’inno della speranza dovrebbe echeggiare verso il Cristo che scompare dalla scena terrestre e dovrebbe formare, come infatti forma nella liturgia, il canto dei rimasti a terra per seguire gli esempi di lui e aspettarne il ritorno”.

Chi di noi, come gli apostoli, per la fede che vive, ha sempre lo sguardo fisso in cielo, anche se deve attraversare questa valle di lacrime, mai è turbato e ha sempre un sorriso negli occhi: il sorriso di chi attende il grande giorno della sua stessa ascesa al cielo.

Fa impressione e amarezza, invece, oggi, vedere tanta gente smarrita, che non ha più tempo di alzare gli occhi, ma rincorre sogni di questa terra, che sempre sfumano e, a volte, diventano incubi.

Facile farsi divorare dal consumismo, che concede poco o nessuno spazio al bello dello stare insieme e tanto meno alla gioia di alzare gli occhi al cielo, in attesa di ascendervi anche noi.

Ognuno deve dunque porsi una domanda essenziale: Sono capace di vivere con i piedi a terra e il cuore staccato dalle false speranze del mondo e gli occhi fissi al cielo?

Così san Paolo scriveva agli Efesini: “Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi, e qual è la straordinaria ricchezza della sua potenza verso di noi credenti” (Ef 1,17-23).

È l’ora di alzare, come gli apostoli, gli occhi al cielo e fissare Gesù che va a prepararci un posto accanto al Padre, ma senza malinconia o tristezza, perché noi, come gli apostoli, abbiamo ricevuto la missione di testimoniare la speranza – che è certezza nella fede – del cielo.

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