GENITORI E FIGLI

briciole di sapienza
By Carlo Ghidelli
Pubblicato il 5 Ottobre 2013

CI SONO FIGLI CHE PENSANO DI AVERE SOLO DIRITTI DA RIVENDICARE DAI GENITORI. IL PROVERBIO LASCIA INTENDERE CHE QUALCHE DOVERE L’HANNO ANCHE I FIGLI: RICORDA CHE ESSI TI HANNO GENERATO / CHE COSA DARAI LORO IN CAMBIO DI QUANTO TI HANNO DATO? Le relazioni paterno-filiali occupano un vasto spazio in tutta la bibbia, ma non c’è alcun dubbio che ad esse i libri sapienziali riservano un’attenzione del tutto speciale. E non potrebbe essere diversamente se pensiamo alla centralità della famiglia in una cultura patriarcale. Noi potremo riascoltare il messaggio che si sprigiona da alcuni proverbi e cercheremo di confrontarlo con la situazione sociale e culturale nella quale viviamo. Penso che non sarà impossibile ricavare qualche insegnamento utile anche per i nostri tempi.

OGNI FIGLIO È UN MISTERO “Il figlio saggio allieta il padre / il figlio stolto contrista la madre” (Pro 10,1). Nulla di più ovvio: eppure c’è molta verità, molta sapienza in questo proverbio. Conosciamo tutti dei padri che meritatamente vanno orgogliosi di un loro figlio: è un orgoglio sano e lodevole. Come pure conosciamo delle madri che, invece, non possono fare altrettanto per un loro figlio e si vedono costrette a passare giorni tristi nella insicurezza di ciò che può loro capitare. Il contrasto tra le due parti del proverbio dà a pensare: perché un figlio riesce bene e l’altro male? Perché uno non tarda a dare segni della sua stoltezza, mentre un altro fin dai primi anni dimostra di essere saggio? La risposta è una sola. Tutto dipende dall’educazione impartita ai figli fin dai primissimi anni. Infatti recita un altro proverbio: “La verga e la correzione danno sapienza / ma il giovane lasciato a se stesso disonora sua madre” (29,15). Occorre avere viscere materne o paterne per soppesare la giustezza di questo proverbio, che trova un netto parallelismo in questo: “Un figlio stolto è un tormento per il padre / e un’amarezza per colei che lo ha partorito” (17,25). Non è neppure lontanamente immaginabile la sofferenza di una madre per un figlio che non corrisponde alle sue attese di educatrice: un dolore forse superiore a quello del travaglio.

ONORA IL PADRE E LA MADRE “Onora tuo padre con tutto il cuore / e non ti dimenticare le doglie di tua madre” (Sir 7,29). Siamo dianzi a una variazione del quarto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà” (Es 20,12). La promessa annessa a questo comandamento fa pensare alla magnanimità di Dio che promettendo si compromette con noi. È bene rilevare che, mentre per il padre l’invito è generico, per la madre invece assume un carattere speciale. La seconda parte del proverbio, infatti, allude esplicitamente alle doglie del parto. Il legame di un figlio con la madre ha qualcosa di misterioso. Non sembra sia sufficiente il taglio del cordone ombelicale per dire di essere totalmente separati e indipendenti dalla propria genitrice. Interessante leggere anche quanto segue: “Ricorda che essi ti hanno generato / che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?” (7,30). Ci sono figli che pensano di avere solo diritti da rivendicare dai genitori, come se tutto fosse loro dovuto. Il proverbio lascia intendere che qualche dovere l’hanno anche i figli verso i loro genitori; se non altro per un minimo di riconoscenza per quanto hanno ricevuto, in primis il dono della vita.

L’EDUCATORE LUNGIMIRANTE Chi risparmia il bastone odia suo figlio / chi lo ama è pronto a correggerlo” (Pro 13,24). L’esperienza plurisecolare insegna che nel rapporto educativo possono cambiare i mezzi correttivi, ma essi non devono mai mancare. Sono necessari forse per quel naturale istinto di insubordinazione che non tarda a risvegliarsi già nella tenera età. Il proverbio parla di odio e di amore e questo ci induce a riflettere seriamente quando e come – al di là delle apparenze – dimostriamo di voler il bene di una persona e quando, invece, dimostriamo di volere il suo male. Questo principio vale sempre, ma soprattutto nel rapporto educativo. Torna alla mente quanto ha scritto Agostino di Ippona in un suo commento al vangelo di Giovanni: “Si male amaveris, tunc odisti; si bene oderis, tunc amasti”, se avrai amato male allora odiasti; se avrai odiato bene allora amasti (51,10).

Ecco un ottimo commento: “Correggi tuo figlio e ti darà riposo / e ti procurerà consolazioni”. Qui mi pare emerga chiaramente il frutto di una buona educazione; un frutto altamente desiderabile, che si concretizza nel riposo e nelle consolazioni. Quale padre non vorrebbe potersi riposare, almeno negli ultimi anni della sua vita? E quale madre non vorrebbe ricevere consolazioni dai suoi figli, soprattutto nel vederli sereni e tranquilli?

LA FAMIGLIA DI NAZARETH Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era con lui… Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.  Luca 2,30-40. 51-52

 CONCILIO VATICANO II L’intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituto del matrimonio che ha stabilità per ordinamento divino; questo vincolo sacro in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio dell’uomo. Perché è Dio stesso l’autore del matrimonio. Gaudium et spes, 48

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