FRANCESCO VUOL DIRE FIDUCIA

il nome della pace, della speranza e della dignità di ogni uomo
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 1 Dicembre 2013

La rivoluzione della tenerezza di Francesco sta cambiando le carte in gioco. Francesco, il poverello d’Assisi, Francesco, il capo della chiesa universale, e Francesco servo degli ultimi nella mondanità spirituale di un mondo spesso indifferente al grido degli ultimi, è il nome nuovo che dà coraggio e speranza

C’è chi parla di nuova evangelizzazione. Chi di “nuova era” della chiesa cattolica. Chi del ritorno del Concilio Vaticano II. Ancora, c’è chi dice che la chiesa, finalmente, si è rimessa a dialogare con il mondo. Certo, papa Francesco sta rivoluzionando a modo suo la teologia e la pastorale della comunità ecclesiale: i suoi gesti, le sue parole, e le sue decisioni in ordine a cambiamenti radicali nella struttura organizzativa della chiesa fanno discutere chi non è d’accordo e gioire chi questi cambiamenti li sognava da tempo.

Il C8, gli otto cardinali scelti da Francesco per ridisegnare il volto della curia, sono al lavoro; la riforma dello Ior, la banca vaticana, è ben più di un progetto, ormai è quasi realtà. E c’è da aggiungere che Francesco ha chiesto alla Cei, la Conferenza episcopale italiana, una riforma della sua organizzazione, oggi troppo elefantiaca e costruita più per un clero in contrapposizione e quindi capace di mediare rendite di posizioni con la politica. È probabile che la riforma venga presentata il prossimo gennaio: se così fosse, nel maggio del prossimo anno avremo un nuovo presidente della Cei eletto direttamente dall’assemblea dei vescovi italiani e non dal papa. Non è cosa da poco per le vicende storiche del cattolicesimo in Italia.

Ma le parole di Francesco non si fermano e, anzi, accompagnano ogni giorno le riforme di cui crede che la chiesa debba fare. “La nuova evangelizzazione non può che usare il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole”: sono messaggi chiari, rivolti ai partecipanti alla plenaria del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione guidato dall’arcivescovo Rino Fisichella.

Su tutti, come sempre, misericordia e tenerezza. Il nuovo lessico della profezia dei Francesco. “C’è bisogno di cristiani – ha detto sempre il papa – che rendano visibile agli uomini di oggi la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura. Sappiamo tutti che la crisi dell’umanità contemporanea non è superficiale ma profonda. Per questo la nuova evangelizzazione, mentre chiama ad avere il coraggio di andare controcorrente, di convertirsi dagli idoli all’unico vero Dio, non può che usare il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole”. “Nessuno – ha proseguito ancora Francesco – è escluso dalla speranza della vita, dall’amore di Dio. La chiesa è inviata a risvegliare dappertutto questa speranza, specialmente dove è soffocata da condizioni esistenziali difficili, a volte disumane, dove la speranza non respira, soffoca. C’è bisogno dell’ossigeno del vangelo, del soffio dello Spirito di Cristo risorto, che la riaccenda nei cuori. La chiesa è la casa in cui le porte sono sempre aperte non solo perché ognuno possa trovarvi accoglienza e respirare amore e speranza, ma anche perché noi possiamo uscire a portare questo amore e questa speranza”.

Nel frattempo è arrivato l’arcivescovo Piero Parolin, nuovo segretario di stato. Dopo gli anni “discussi”, in particolare gli ultimi due della segreteria Bertone, un diplomatico di rango accompagnerà Francesco nella non facile conversione del polmone temporale della chiesa – la curia – a un’organizzazione più leggera, flessibile, in linea più con gli spifferi della profezia biblica che non con quelli dei palazzi della politica e delle banche.

La rivoluzione della tenerezza di Francesco sta cambiando le carte in gioco. Francesco, il poverello d’Assisi, Francesco, il capo della chiesa universale, e Francesco servo degli ultimi nella mondanità spirituale di un mondo spesso indifferente al grido degli ultimi, è il nome nuovo che dà coraggio e speranza. Oltre gli steccati ideologici, le controversie dottrinarie, i termini etici di un nuovo sviluppo globale dove le parole sobrietà e decrescita felice sono la strada da percorrere.

Oggi c’è il dramma di Lampedusa, i cammini di fame e libertà dei popoli scappati dalla “primavera araba”, e un capitalismo finanziario che non ha vinto la sua scommessa di crescita per il mondo globalizzato. Nel Mediterraneo sconvolto da guerre, come duemila anni fa, c’è la speranza di un nome. Il nome della pace, della speranza, della dignità di ogni uomo.

Oggi questo nome è Francesco.

Se mai ci fosse bisogno di una controprova, c’è da annotare l’ennesima (e forse definitiva) spaccatura con la Fraternità San Pio X di Marcel Lefebvre. Il vescovo Ber-nard Fellay, infatti, ha detto che Francesco è “un vero modernista”. Fellay ha affermato che stiamo vivendo “tempi molto spaventosi”, che “la situazione della chiesa è un vero e proprio disastro. E il papa attuale la sta rendendo diecimila volte peggio. All’inizio del pontificato di papa Benedetto XVI, ho detto: la crisi della chiesa continuerà, ma il papa sta cercando di metterci un freno. È come a dire: la chiesa continuerà a scendere, ma con un paracadute. Con l’inizio di papa Francesco, dico: lui taglia le corde, e ha messo un razzo per andare verso il basso”.

Basterebbe ciò per capire quanto la chiesa oggi sia spinta dal vento dello Spirito. Ai naviganti di una cristianità in piena crisi, fedeli ma anche non credenti, spetta il compito di lasciarsi trasportare verso lidi dove le parole misericordia, tenerezza e amore per l’altro siano il nuovo lessico civile della speranza che nasce da Gesù.

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