Guardando alla guerra che si sta consumando dal 2022 e agli altri conflitti armati nel modo che sono meno documentati dai media occidentali emerge la domanda se si può ancora parlare della “guerra giusta”? M.C.
Una risposta autenticamente cristiana al dramma ripensa la nozione tradizionale della “guerra giusta” e presenta le radici profonde della pace che scaturiscono dalla risurrezione di Cristo.
La dottrina della “guerra giusta” prevede una sola causa per il ricorso delle armi, la legittima difesa e la liberazione da un tiranno che opprime il popolo in casi eccezionali. “La guerra non è purtroppo estirpata dalla condizione umana. Finché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, dotata dei relativi poteri, esaurite tutte le possibilità di pacifiche trattative, non si potrà negare ai governi il diritto ad una legittima difesa” (Gaudium et spes, 79).
Tuttavia, nel contesto della difesa della collettività bisogna tener presente anche al criterio della proporzionalità e la speranza di successo, vale a dire che il rimedio non deve essere peggiore del male da rimediare. L’adagio secondo cui nessuno è tenuto a fare l’impossibile non è solo “Realpolitik”, ma anche un principio etico simile a quello della proporzionalità delle cure mediche e a quello del bene possibile. Nell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco non si parla più di guerra “giusta” o “ingiusta” perché la guerra non è considerata una risposta adeguata: “Non possiamo pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta” (Fratelli tutti, 258).
Non rinunciare mai al negoziato! La guerra può essere evitata a lungo termine se si promuove il bene comune in un contesto vincente per tutti. La medesima enciclica ribadisce che la pace sociale è laboriosa che passa per il rispetto dei diritti delle minoranze etniche, culturali e religiose (cf. Fratelli tutti, 272-273, 279).