EFFETTI DELLA PROPORZIONALE
Dopo il caos estivo, alla ripresa dell’attività politico-parlamentare una delle non molte cose ragionevolmente certe è che le prossime elezioni politiche si faranno col sistema proporzionale. Le conseguenze saranno: 1) La presenza di molte liste di partiti grandi, medi, piccoli e, probabilmente, piccolissimi (del genere” Rifondazione comunista” e di quella che Sgarbi ha presentato in Sicilia) delle aree di destra, centro-destra, sinistra, centro-sinistra; più i 5 Stelle che rifiutano di collocarsi nelle tradizionali articolazioni. 2) In campagna elettorale, l’impegno primo di partiti e di movimenti sarà di polemizzare con quelli situati ai propri confini, perché portati a “pescare voti” innanzitutto in aree da ciascuno considerate vitali. 3) È molto improbabile, se non proprio impossibile, che un partito o movimento conquisti la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari: col premio alla Camera se supera il 40% dei voti e al Senato se in coalizione superi il 20% nei i collegi regionali. 4) per quanto detto ai p. 2 e 3, in campagna elettorale non si parlerà seriamente di programmi per fare fronte ai problemi vitali del Paese ( del lavoro, in particolare per i giovani; le pensioni; la fiscalità insopportabile per le persone, le imprese e le società che pagano il dovuto; la costruzione di grandi infrastrutture; il sostegno al Mezzogiorno eccettera). Si faranno solo proclami e promesse mirabolanti. Soprattutto tacendo su quali sarebbero i loro costi reali, e da dove e in quali modi dovrebbero essere reperite le risorse per coprirli.
Gli elementi negativi del voto con la proporzionale potrebbero aggravarsi ulteriormente per la situazione interna ai maggiori partiti. Il Pd infatti continua a essere in preda a contrasti durissimi tra Renzi – deciso a tornare a Palazzo Chigi puntando, come per le europee, a un successo elettorale tra i moderati – e i gruppi di Orlando, Franceschini ed Emiliano, che puntano ad alleanze con i gruppi a sinistra del Pd, a cominciare da quelli di Bersani e D’Alema, con o senza il supporto di Pisapia; e sul mantenimento di Gentiloni a Palazzo Chigi.
I 5 Stelle, in apparenza non avrebbero divisioni interne e problemi di alleanze, dicendosi sicuri di ottenere oltre il 40% dei voti, e dunque la maggioranza assoluta alle Camere. Ma sono, appunto, apparenze. Intanto le indagini demoscopiche li danno alla pari col Pd, attorno al 26%. E quanto alla situazione interna, oltre a quella farsesca di Roma, non sono chiacchiere le decine di parlamentari che hanno lasciato il gruppo; e le mascherate, ma reali, contrapposizioni tra il probabile candidato a Palazzo Chigi, Di Maio, e il leader dei puri e duri del movimento “solo di lotta” (Figo). Di Maio, infatti (e credo d’intesa con Grillo e Casaleggio) se il movimento risultasse il più votato alle elezioni e venisse convocato da Mattarella per tentare di formare il governo, avrebbe bisogno di alleanze, e le cercherebbe. Non solo nell’ultrasinistra (alla quale il Movimento è vicino per molte idee e proposte) ma anche tra i moderati. Ha questo significato infatti la risposta di Di Maio (“perché vi sono buoni italiani in tutti i ceti”) a chi gli chiedeva le ragioni della sua partecipazione al convegno annuale Ambrosetti di quelli che i 5 Stelle definiscono loro nemici giurati, cioè i “padroni”, i” finanzieri”, i “lobbysti”, i “massoni” del nostro Paese.
L’agglomerato del centro-destra infine, sommando aritmeticamente FI, Lega e F.d’Italia supererebbe il 30%. Ma non presenterà una lista unica per la Camera, e pochissime candidature comuni al Senato. Pertanto, in campagna elettorale ciascuna componente sarà in lotta serrata con le altre, anche per divergenze profonde in materia di Euro e dell’Europa. Berlusconi e tornato in auge per intelligenza tattica, e spera ancora in un pronunciamento di organismi europei per potersi candidare alle politiche. Ma Salvini e Meloni dicono che, comunque, leader dell’agglomerato sarà quello del gruppo più votato. Le prospettive politico-istituzionali non sono dunque buone. Mentre l’Italia avrebbe bisogno di prestigio e capacità di decisione, per affrontare in modo adeguato e tempestivo i problemi essenziali del Paese nel difficile contesto europeo e mondiale.