PRO O CONTRO L’UNIONE UN RISULTATO A RISCHIO

ELEZIONI EUROPEE 2014
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Maggio 2014

VENTOTTO PAESI FRA IL 22 E IL 25 MAGGIO INVIERANNO 766 RAPPRESENTANTI, SENZA RISULTATI SCONTATI. CERTAMENTE LE URNE RISENTIRANNO DI UNA INNEGABILE SITUAZIONE DI INCERTEZZA NELLA QUALE NUMEROSI PAESI DELLA COMUNITÀ SI TROVANO  Dal 2009 al 2014 è trascorsa, per l’Europa, un’epoca storica, quella della crisi economica di cui si intravede appena la fine. Si va all’elezione del nuovo parlamento di Strasburgo, al quale 28 paesi dell’Unione Europea fra il 22 e il 25 maggio invieranno 766 rappresentanti, senza risultati scontati. Le formazioni politiche ballano sulle previsioni dei sondaggi, maneggiati con cautela anche da parte di chi li fa. Si parte dagli esiti delle consultazioni 2009, che hanno visto in testa il Partito popolare europeo con 274 mandati, seguito dai socialisti del Pse con 195, dall’Alleanza democratico-liberale con 84, dai verdi con 58 e con le varie formazioni di euroscettici ed eurofobi che totalizzano attorno a 140 seggi. A questi ultimi le previsioni – che soltanto ai socialisti, tra le formazioni tradizionali, attribuiscono un aumento – accreditano una percentuale che, dal 12 attuale, si avvicina al 20, con 220 eletti, sui complessivi 766.

Si sconta contemporaneamente l’ingresso di esponenti dell’estremismo di destra, dal Fronte nazionale francese (per il quale si prevede addirittura il primo posto, 34 per cento, nel suo paese) all’Ukip britannico, al Partito liberale austriaco, con picchi clamorosi; e con buone affermazioni per gli olandesi, i danesi, i finlandesi. Aggiungendo le possibilità dei neonazisti greci, tedeschi, svedesi e ungheresi di strappare alcuni seggi. Gli oltranzisti vanno per ora in ordine sparso; sono necessari almeno 25 deputati di sette nazioni diverse per formare un gruppo parlamentare e quindi avere maggiore visibilità e possibilità di pressione in seno all’assemblea; che, ricordiamo, ha oggi strumenti di controllo sugli organismi di Bruxelles e non di rado ha contestato o respinto provvedimenti inadeguati o impopolari della Commissione.

Più d’uno, per le prossime elezioni, ha parlato di una sorta di referendum pro o contro l’Europa. Certamente le urne risentiranno di una innegabile situazione di incertezza nella quale numerosi paesi della comunità si trovano. Con una crisi che, nella coscienza comune, si giudica non sia stata ben gestita a Bruxelles e abbia dato l’impressione che si stia risolvendo con guadagni per pochi (per esempio le banche o i grandi manager) e un generale impoverimento per gli altri. Da qui il convincimento o, meglio, l’illusione da parte di alcuni che convenga rinunciare al disegno dell’Europa unita e, tornando alle antiche condizioni di “indipendenza”, recuperare le monete nazionali.

Sono prospettive contestate dalla maggioranza degli economisti, che però non vengono ascoltati da ampi settori dell’opinione pubblica esasperata (non sempre a torto) dalla scarsità di risultati e da una crisi dalla quale non si vedono vie di uscita (basti pensare al dramma della disoccupazione giovanile). Appaiono spesso senza effetto gli appelli alla  ragione. Ne è una prova la scarsa eco della campagna di stampa partita dalle istituzioni europee, con le parole d’ordine “Questa volta è diverso” o “Agire. Reagire. Decidere”. Risuona molto più efficace la propaganda che attribuisce al sistema della moneta comune, l’euro, la responsabilità di tutti i mali, senza riscontri scientifici, per la verità, ma con un impatto effettivo sulla “pancia” della gente che vuole trovare un facile capro espiatorio alle difficoltà singole e comuni.

Alla coscienza dei cristiani è rivolto l’ammonimento della Commissione degli episcopati della Comunità Europea, con un tono decisamente più positivo di tanti profeti di sventure. Le prossime consultazioni, afferma la Comece, costituiscono un’occasione perché i cristiani esercitino, come elettori, la propria responsabilità affinché nella Ue “tutti gli europei si sentano a casa”: c’è chi ritiene questo passo una critica ai sostenitori dell’austerità come ideologia, secondo l’espressione dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, a danno dei paesi più deboli. Nonostante le evidenti mancanze, dicono i vescovi, bisogna invece apprezzare i 64 anni di sviluppo pacifico del dopoguerra e i 20 anni dalla caduta della cortina di ferro che hanno permesso il cammino dell’unificazione. La chiesa, si ricorda nel documento, sin dall’inizio ha sostenuto il progetto di integrazione e ritiene che la partecipazione dei fedeli sia indispensabile per lo sviluppo della persona umana a servizio del bene comune.

È anche una esortazione (con un occhio al timore per la paventata, altissima tensione) all’esercizio attivo della politica, per dare un’ anima all’Europa: forse una indiretta riserva sul mancato riconoscimento delle radici cristiane di una cultura comune, così come potrebbe esserlo l’esortazione alla difesa di valori quali il rispetto della vita umana dall’inizio alla fine, il sostegno della famiglia fondata sul matrimonio, la tutela dei diritti dei lavoratori; tutti principi ai quali si potrebbe sospettare sia stato arrecato più di un vulnus dalla burocrazia di Bruxelles e da posizioni laicistiche dell’assemblea di Strasburgo.

Non è, quello dei vescovi, il solo messaggio positivo che, al di là dai detrattori, può confortare l’opinione pro-europea. La crisi ucraina, per esempio, certifica che l’Ue è un obiettivo ambìto se la rivolta popolare (durante la quale sono state sventolate bandiere blu stellate) è partita dalla frustrazione di un mancato rapporto con l’Unione. In modo analogo, anche se con motivazioni diverse, è significativo che il governo turco insista per l’adesione all’Unione. Infine il nuovo primo ministro della Repubblica Ceca, Bohuslav Sobotka, ha interrotto la deriva anticomunitaria dei suoi predecessori affermando – nel momento in cui altrove più intensa diventa l’avversione all’euro – di stare seriamente pensando di far entrare il suo paese nell’eurozona.

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