NON MI DISPIACE di MORIRE

By Nandino Di Eugenio
Pubblicato il 3 Novembre 2018

Dalla naturale paura della morte quando era ancora ragazzo, all’ardente desiderio di morire in giovane età. È questo il sorprendente, radicale cambiamento che si ammira nella vita di Gabriele. Il santo vede i suoi giorni scanditi da lutti che si susseguono con un ritmo impressionante quasi richiamati da un misterioso appuntamento. La morte diventa subito “qualcuno” di casa, un commensale sempre presente. E lui ne è addolorato testimone. Nel 1841, quando Gabriele ha tre anni, gli rapisce la sorellina Rosa di sette mesi; l’anno successivo gli porta via la sorella Adele di nove anni e la mamma quarantunenne. Lui, bambino di appena quattro anni, resta orfano conservando nel cuore il ricordo dell’ultimo bacio e dell’ultima affettuosa carezza della mamma morente.

Nel 1848 gli strappa il fratello Paolo ventunenne, nel 1853 il fratello Lorenzo di 27 anni e nel 1855 la sorella Maria Luisa, dolcissima giovane di 26 anni, che in casa aveva preso il posto lasciato vuoto dalla mamma. Lui stesso, adolescente, si ammala gravemente e per due volte vede in faccia la morte: prega e promette di farsi religioso se fosse guarito. Ottiene la grazia, ma non entrerà in convento. Sarà passionista per amore, non per paura. Tali eventi punteggiano la vita di Gabriele bambino, adolescente, giovane e sono forse la radice del suo tenero amore verso l’Addolorata e il Crocifisso. Ma lui che aveva promesso di farsi religioso se fosse sfuggito alla morte, entrato in convento non solo non teme più la morte, ma la desidera. Sgrana i giorni terreni come una preparazione alla eternità, e vede nella morte non la conclusione della vita ma la porta che introduce all’incontro gaudioso e definitivo con Dio.

Scrivendo ai suoi famigliari ricorda la fugacità e la preziosità del tempo. Dice al papà: “Adesso si fabbrica la casa per abitarci non trenta, quaranta, cento anni, ma una eternità… Siamo pellegrini, teniamo fissi gli occhi alla vera patria”. Parla così spesso dei suoi “brevi giorni”, della “breve fatica di pochi giorni”, del “poco tempo di viaggio per l’eternità”, da indurci a pensare che presagisca la morte vicina.

Il suo direttore, padre Norberto Cassinelli, asserisce che fin dall’inizio della vita religiosa Gabriele chiedeva a Dio la grazia di morire giovane e malato di tisi, e afferma: “Giunta l’ora, invece di turbarsi si sentì e si mostrò pieno di tanta gioia e di tanto desiderio di morire che dovetti porgli un freno”. “Se volete che vi parli come la sento, confida Gabriele ai suoi confratelli, vi dico che non mi dispiace di morire, anzi temo che nel gusto che ci sento, ci sia l’amor proprio”.

Il mistero della morte, punto interrogativo piantato nel cuore dell’uomo, trova in Gabriele la risposta più vera. Per lui il fluire del tempo non è un avvicinarsi alla morte, ma un cammino festoso verso la vita. E allo spegnersi dei giorni c’è il Signore che lo attende da sempre. Veramente Gabriele è tra coloro che, come scrive lui stesso al fratello Michele, “invitano la morte, pensando che vanno a possedere l’oggetto del loro amore”. E quando la morte arriverà Gabriele tenderà la mano come per salutare un amico lungamente atteso.

C’è davvero da invidiare questo giovane che va sereno incontro alla morte con l’innocente trasporto di un bambino che corre sorridente in braccio alla mamma.            p.dieugenio@virgilio.it

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