NATALE, QUALE NATALE …

un mistero troppo profondo per restare eclissato
By redazione Eco
Pubblicato il 2 Dicembre 2018

Il Natale di una volta (di Luciano Verdone)

Chi potrà restituirci il Natale di una volta, quello che veniva atteso con il conto alla rovescia? L’uomo d’oggi è diventato terribilmente adulto e chi è adulto s’inaridisce, chiude il cuore alla fiducia. Giorno dopo giorno, la cronaca della violenza getta un velo di diffidenza su tutto.

Natale è la festa di un bambino che nasce. Ma, oggi, si ha persino paura di accarezzare un bambino. Agli stessi bambini è stata scippata l’infanzia. Essi vivono da adulti e vedono le stesse trasmissioni dei grandi. Forse, è proprio per questo, che non credono più in essi.

Anche oggi, in verità, ci sono presepi e alberi in ogni casa, vetrine illuminate e centri commerciali addobbati all’inverosimile. Ma manca lo spirito. Manca la fede semplice dei mille paesetti d’Italia che trovava il suo momento culminante nella messa di mezzanotte. Massimo Lelj, scrittore aquilano, ricorda il Natale di Tione, nella valle dell’Aterno, tra i monti dell’Abruzzo:

“E tutti stavano in ascolto… Prima che la campana piccola suonasse l’ultima chiamata, prima di mezzanotte, bisognava aver bevuto il ponce, essere intabarrati e pronti con le lanterne… Tutta la gente, verso la chiesa, camminava in fretta, discorreva forte, ti dava il buon giorno. Chi portava un lume ad olio, dentro un cesto, chi una lanterna sotto il mantello, chi impugnava una legna ardente e fumosa… Se non nevicava e l’aria era serena, potevi vedere il riverbero di una processione simile negli altri paesi della vallata… L’aria odorava d’olio forte e di pizze fritte… La gente si riversava nella chiesa col desiderio di starci lungamente. Rimaneva affascinata dalla gran luce dell’altare e dei lampadari… E quando il celebrante, avendo sulle braccia la culla celeste, col bambino dalla faccia rossa e rotonda di piccolo montanaro, fasciato d’argento, si accostava all’altare, per deporvi il Figlio di Dio, si staccava dall’alto il canto della pastorella e per un attimo restava sospeso tra le navate; indi il coro d’uomini, donne, ragazzi, tutta la chiesa, cantava la povertà del Signore, e nel canto pareva che si fondesse l’estasi di quei poveri, e le lacrime ritrovavano nel cuore i loro solchi”.

Il quadro e la cornice

C’è un mito che si va scolorando, anno dopo anno. Quello del Natale. Esso è costituito da un quadro e da una cornice. Il quadro corrisponde all’avvenimento che viene ricordato ogni anno: Dio che si fa uomo. La cornice coincide con le derivazioni culturali dell’avvenimento: luminarie, doni, auguri, clima di festa e di fraternità… Che cosa è accaduto negli ultimi anni? Che mentre il quadro si veniva progressivamente oscurando, per la crisi generale della fede, la cornice, in compenso, si è andata sempre più ingrandendo. Oggi, sembra rimasta quasi solo la cornice. Basti pensare che, nei centri commerciali, le decorazioni natalizie iniziano quasi tre mesi prima. Alla fine, ne è scaturito un Natale sempre meno cristiano e sempre più consumistico. Sempre meno Gesù Bambino e sempre più il vecchio, grasso, paonazzo Santa Claus. Luminarie, festoni, viaggi esotici, mutandine rosse… E, quando diamo gli “auguri”, è come se dicessimo solamente: “Buona fortuna”.

Un sole nascosto dietro le nuvole

Eppure, il mistero del Natale è troppo profondo per restare eclissato. Esso ha creato la più grande rivoluzione di tutti i tempi. L’idea di un Dio che si fa uomo ha costruito, nei secoli, il concetto di persona. L’icona della madre con il bimbo in braccio ha messo al centro la dignità della donna e del bambino, preparando la stagione dei diritti e della parità. Per quanto la fede si sia illanguidita, il mistero del Natale continua a parlare al cuore umano, come un sole nascosto dietro le nuvole.

Il Natale tocca gli strati profondi della psiche e costituisce un autentico reattivo mentale. Rivela il nostro atteggiamento di fronte alla realtà. Infatti, quando la gente si augura “Buon Natale”, nella sua mente c’è un gradiente di atteggiamenti che sale dal livello del costume, a quello dei valori (famiglia, fratellanza, umanità), fino a quello delle domande supreme sul senso della vita. Ma chi è costui che scuote le fibre dei cuori, che fa piegare le ginocchia di persone che appena lo conoscono.

Papa Benedetto riteneva che il mistero del Dio che si fa uomo sia l’idea più inaudita, nuova, sconvolgente, di tutta la storia. L’incarnazione può sembrare un concetto incredibile, inaccettabile, continua Ratzinger, ma sarebbe molto più assurdo il contrario: Oggi, se Dio non si fosse fatto uomo, nessuno più lo riterrebbe credibile. “Non abbiamo bisogno di un Dio qualunque – scrive Benedetto XVI – ma di un Dio che ha il volto umano. Oggi il problema non è accettare il Cristo come Dio ma come accettare Dio senza il Cristo”. Come non essere d’accordo con lui.

Il problema religioso, nella cultura contemporanea, non è di tipo razionale ma esistenziale. Dio continua ad avere senso se riesce a riempire ancora il nostro cuore. Se veramente ha il potere di sollevarci su ali di aquila sopra i piccoli e grandi problemi d’ogni giorno. Questo Dio che attraversa una distanza infinita, varca la soglia del tempo, entra nello spazio, appare come uomo. Non c’è idea più sconvolgente e feconda di questa.

Ammettiamolo. Il Natale non è solo roba da bambini. È l’espressione più intima della natura umana, nella sua ricerca di novità e di futuro. È una scommessa e, nello stesso tempo, una sfida. C’invita a credere nella sostanziale bontà del cuore umano e nel senso  positivo della realtà.

Chissà se, dopo aver toccato il fondo di una cultura che scandisce gli anni in base al nome dei mostri del crimine, torneremo un giorno alla semplicità del Presepe, dove il lupo e l’agnello, secondo le parole del profeta, pascolano insieme

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