LA QUESTIONE DEI REFERENDUM

By Nicola Guiso
Pubblicato il 5 Ottobre 2013

Dopo molte stagioni trascorse a fare politica e a scriverne, sono costretto a dichiararmi incapace a capire che cosa stia succedendo nella politica italiana. Perché se fare politica deve significare soprattutto sforzarsi di contribuire a realizzare il massimo di bene comune in una situazione data, nel rispetto – come ricorda Joseph Ratzinger – “di ciò che i greci chiamano eunomia, ossia il fondarsi del diritto su norme morali”, e dunque la democrazia “non è un puro dominio della maggioranza”, non capisco nella politica d’oggi in particolare:

a) Perché il Pdl, che è stato determinante in parlamento e fuori, nel fare approvare misure a favore della famiglia, della libertà religiosa, e per  la tutela della vita; e a far approvare leggi (sostanzialmente giuste) sulla lotta alla droga, la disciplina della immigrazione e la difesa dei cittadini, abbia deciso di sostenere referendum dei radicali agli antipodi di quelle scelte.

b) Come possa essere sostenibile sotto il profilo morale e razionale (secondo Pannella e Berlusconi) il “dovere” di favorire (firmandoli tutti e 12) la celebrazione anche di referendum che non si condividono, perché con tale atto, sostengono, si garantirebbe la libertà di tutti i cittadini ad esprimersi a favore o contro di qualsiasi referendum. È infatti una tesi che contrasta con il principio della immoralità di qualsiasi atto che possa favorire il successo di propositi che, realizzandosi, sicuramente contrasterebbero con il bene comune riconosciuto come tale da chi compisse quell’atto (è il caso di Berlusconi). Poi perché questa tesi contrasta di fatto con la volontà dei “padri” costituenti (che non vanno esaltati solo quando torni comodo). Essi infatti fissando un numero minimo di firme per la celebrazione di un referendum, vollero creare una barriera in difesa della democrazia rappresentativa (la più alta costruzione giuridica e politica realizzata a difesa della libertà della persona, delle comunità e dei popoli) dalle tentazioni populistiche ed autoritarie della “democrazia diretta”. Ma vollero anche affermare il principio che chi intendesse realizzare un obiettivo a mezzo di un referendum senta il diritto-dovere di favorirlo attivamente innanzitutto con la firma. E chi, al contrario considerasse negativo per il bene comune quell’obiettivo, senta il diritto-dovere di usare ogni mezzo moralmente e legalmente lecito per contrastarne il successo. Per questo aspetto della vicenda referendaria, molto più coerente è stato Vendola, il solo leader di partito oltre a Berlusconi che abbia firmato referendum dei radicali ma solo sette su dodici, cioè quelli di cui condivide la proposta.

La vicenda referendaria del Pdl, alla quale si aggiunge quella del Pd (chiuso a riccio contro qualsiasi presa di posizione ufficiale sui referendum, al fine di non urtare la magistratura e la canea vociante sui “diritti civili” dei 5 Stelle mi conferma su quanto detto nella nota precedente. La grave crisi sociale, economica e istituzionale che sta devastando l’Italia, rischia di aggravarsi anziché avviarsi a soluzione. Questo perché la politica (e in particolare di due delle sue espressioni più significative, come il Pdl e il Pd) si mostra sempre più incapace a fare scelte coraggiose al fine di corrispondere alle domande dei cittadini. Ed è sempre più incapace a controllare e a contrastare iniziative corporative di altri poteri (come la magistratura); e di poteri che traggono forza dalle strutture sovranazionali e tecnocratiche europee; e da grandi multinazionali i cui indirizzi di fondo contrastano con quelli del nostro popolo.

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