LA PREGHIERA DEL MONDO PER FAVORIRE LA PACE

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 5 Ottobre 2013

Sino a quando resisterà il compromesso siriano? Per il momento hanno prevalso, da una parte, l’ansia di pace espressa fra l’altro dalla grande preghiera universale indetta da papa Francesco, dall’altra la consapevolezza che non ci si può affacciare sull’orlo del vulcano senza rischiare di caderci dentro. La diplomazia, inconsapevolmente, è stata mossa da quell’energia silenziosa di milioni fra i credenti della terra di ogni religione, e spesso di non credenti che, in una notte di sabato del settembre 2013, sollecitati dal vicario di Cristo, hanno offerto invocazioni, digiuno ed elemosine per preservare il mondo dalla violenza.

Così si è attenuata la minaccia di un intervento militare – che pareva imminente – degli Stati Uniti come “punizione” per l’utilizzazione da parte del governo di Damasco, il 21 agosto, di armi chimiche contro le forze ribelli, causando la morte di numerosi civili. La Siria è uno dei sei paesi (Israele compreso) che non hanno sottoscritto, con altri 189 nel mondo, il trattato per il bando degli strumenti di distruzione di massa; negando, oltretutto, di esserne in possesso. Per alcuni giorni è sembrato si fosse alla vigilia di un avvenimento dalle conseguenze inimmaginabili, con Usa e Francia (e il blando appoggio di altri occidentali, fra cui l’Italia) decisi all’operazione punitiva.

Nonostante la contrarietà di vaste aree dell’opinione pubblica internazionale (persino il parlamento inglese aveva votato a maggioranza contro la partecipazione della Gran Bretagna a un eventuale intervento), la Casa Bianca sembrava decisa ad andare sino in fondo e “dare una lezione” al dittatore siriano Bashir al-Assad. Nel Mediterraneo orientale affluivano flottiglie statunitensi e russe: Mosca si era eretta a protettrice di Damasco e, con la Cina, aveva bloccato ogni risoluzione anti-siriana alle Nazioni Unite.

Anche il 60 per cento degli americani era contro, memore di altre vicende belliche andate a male, dal lontano Vietnam ai più recenti Iraq e Afghanistan. E al presidente Barack Obama è stata offerta a sorpresa, dal suo omologo e rivale russo Vladimir Putin, una via di uscita: consegnasse la Siria, sotto il controllo dell’Onu, le sue riserve di armi chimiche per evitare l’ipotizzata azione Usa. Damasco si è detta disponibile (ammettendo quindi di essere in possesso di quegli strumenti) e la diplomazia internazionale si è rimessa in moto, evitando al momento il pericolo di una conflagrazione di cui non è possibile misurare la successiva estensione.

Da quasi tre anni si gioca in Siria una partita che trascende la sorte del governo in carica. Le primavere arabe, dopo aver registrato conclusioni più o meno fallimentari in Tunisia, Libia ed Egitto, e aver fatto tremare in Medioriente altri regimi autoritari, mettono in evidenza una serie di elementi disparati che, tutti insieme, possono condurre a una crisi seria. Un fattore sul quale non si riflette spesso in modo adeguato è la guerra interreligiosa nel mondo musulmano. Il perenne contrasto fra le due principali correnti dell’islam, sunniti e sciiti, si trova esaltato dalla prospettiva del possesso delle immense ricchezze energetiche dell’area, portando a una perenne situazione di crisi: basterà ricordare la guerra fra l’Iraq sunnita e l’Iran sciita, con i suoi milioni di morti. Il conflitto siriano non è una lotta fra il bene e il male, ma una “coda” di quelle rivalità confessionali. Lo dimostra il mutamento della rivolta anti-Assad che, inizialmente liberale e democratica, sembra essere ogni giorno di più controllata dagli estremisti vicini ad al-Qaeda. Forse anche questa consapevolezza ricondurrà la “rappresaglia” entro i limiti del negoziato.

 

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