LA FORMAZIONE DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

By redazione Eco
Pubblicato il 12 Giugno 2016

Se è vero, come dicevamo, che missionari non si nasce ma si diventa, allora è necessario mettere in atto iniziative e attività formative non generiche ma specifiche. I padri conciliari lo affermano anzitutto riferendosi alle comunità che nascono in terra di missione. Esse devono diventare autonome e lo saranno nella misura in cui sanno coltivare lo spirito missionario.

Ciò vale anche per le comunità parrocchiali di nostra conoscenza: anch’esse hanno bisogno di essere formate alla missionarietà. Attenti però a non ridurre questi incontri ad un confronto operativo, solleciti solo di organizzare e di fare proposte concrete alla comunità di appartenenza. È assolutamente necessario dare spazio sufficiente alla formazione vera e propria.

  1. Formazione ad ogni livello

Tra i vari livelli ai quali si riferiscono i padri conciliari mi preme metterne in risalto uno: quello delle famiglie cristiane. Ecco quanto scrivono: “Germoglino famiglie dotate di spirito evangelico e siano sostenute da scuole appropriate; si costituiscano associazioni e organismi, per mezzo dei quali l’apostolato dei laici” (numero 15).

Questo è compito di ogni missionario. Infatti “i missionari, cooperatori di Dio, devono dar vita ad assemblee di fedeli tali che svolgano le funzioni sacerdotale, profetica e regale, che Dio ha loro affidate”. Tutto questo in  ordine a creare comunità che siano autosufficienti “per provvedere,  per quanto è possibile, alle proprie necessità”.

È dal proprio seno che ogni comunità cristiana deve saper trarre tutte quelle energie che ha ricevuto in dono e che le consentano di diventare valida collaboratrice nella diffusione del vangelo. Se questo non avviene in ogni famiglia cristiana invano si spererebbe un vero e autentico incremento della evangelizzazione.

  1. Riferimento alla Lettera di Diogneto

Anche qui, come al n.38 della costituzione dogmatica sulla chiesa, i padri conciliari fanno riferimento alla Lettera a Diogneto, uno scritto del primo secolo nel quale si descrive in termini molto vividi la condizione del cristiano nel mondo. Ecco come: “I fedeli, riuniti nella chiesa da tutti i popoli non sono separati dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per istituzioni politiche; perciò, come buoni cristiani, evitando ogni forma di razzismo e di nazionalismo esagerato, devono promuovere l’amore universale tra i popoli”.

Ovviamente ciò che qui la Lettera a Diogneto esprime in termini negativi può e deve essere detto anche in termini positivi. Esattamente quello che si legge in Lumen gentium 38: “Ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani”.

Non si tratta, a mio avviso, di un semplice consiglio, che minaccia di rimanere innocuo e inefficace; si tratta invece di un metodo vero e proprio: un metodo che non sempre è stato rispettato nella storia delle missioni cattoliche, ma che urge riprendere e adottare con fiducia e coraggio, docili all’insegnamento conciliare.

  1. La plantatio ecclesiae

Nell’ambito di una nazione, il popolo cristiano “è presente ed è organizzato per annunciare il Cristo con la parola e con l’opera ai concittadini non cristiani per aiutarli ad accogliere pienamente il Cristo” (n.15). Ma questo è un compito richiesto a ogni battezzato: parlare di Gesù e testimoniare la propria adesione di fede con la vita. Purtroppo non possiamo dire che questo avvenga anche in casa nostra.

Poi si legge: “E per la impiantazione (plantatio) della chiesa e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari ministeri che, suscitati nell’ambito stesso dei fedeli da una chiamata divina, tutti devono diligentemente promuovere e coltivare”. Questo i padri conciliari lo affermano riguardo alle giovani chiese nascenti in terra di missione, e giustamente!

Ma non possiamo eludere il discorso che tocca anche la situazione delle nostre comunità cristiane. Se proprio non si può parlare della necessità di una plantatio ecclesiae, sulla scorta dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, dobbiamo certamente ammettere la necessità di una nuova evangelizzazione: nuova non solo nei metodi e nel fervore, ma anche nei contenuti. A che punto siamo, infatti, con le conoscenze basilari della fede cristiana?

 

Gruppi missionari parrocchiali

Esistono, e talvolta sono molto attivi e fervorosi, gruppi missionari parrocchiali (talvolta anche a livello di diocesi). Essi sono pilotati talvolta da missionari reduci i quali riescono a infondere la loro passione missionaria soprattutto nei giovani. Da questi gruppi nascono anche iniziative provvidenziali quali i campi scuola in terra di missione, dove giovani e adulti vanno a conoscere in loco le situazioni di estrema necessità.

 

Parole di papa Francesco

Nuova evangelizzazione significa risvegliare nel cuore e nella mente dei nostri contemporanei la vita della fede. La fede è un dono di Dio, ma è importante che noi cristiani mostriamo di vivere in modo concreto la fede attraverso l’amore, la concordia la gioia, la sofferenza perché questo suscita domande.

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