IL SACRIFICIO DI FABRIZIA

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 4 Febbraio 2017

“Era una splendida stella, ma è dovuta andare via per riuscire a brillare. Quando manca il lavoro manca anche la dignità». Con queste parole monsignor Angelo Spina, arcivescovo di Sulmona, ha rivolto l’ultimo saluto a Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza piena di sogni, con una laurea e due master, morta nell’attentato al mercatino di Berlino, alla vigilia del Natale dello scorso anno. Una ragazza piena di sogni e di voglia di fare che per realizzarsi ha dovuto lasciare la sua città Sulmona; ma anche la sua regione, l’Abruzzo e il suo paese, l’Italia. Non poteva scegliere parole più vere il prelato per dare voce al grido di dolore di un’intera generazione che se non sceglie la strada dell’emigrazione non ha altra prospettiva se non la disoccupazione e il precariato permanente.

L’Abruzzo, insomma, dopo molti anni, è tornata a essere terra di emigranti. Si tratta di un’emigrazione diversa dal passato. Quella era fatta di forza lavoro, di mano d’opera, di uomini e donne molto spesso con una scarsa scolarizzazione. Quella di oggi, invece, è fatta di giovani intellettuali, con almeno un laurea. Di giovani che conoscono le lingue, che hanno frequentato master e dottorati di ricerca. Capaci di competere con i coetanei di tutta Europa in fatto di conoscenza scientifica e di preparazione tecnica. Intellettualità che si sono formate a prezzo di tempo dedicato sui libri e nelle aule universitarie, cui lo stato ha destinato investimenti e le famiglie sacrifici e rinunce. Eppure il nostro è un sistema che non sa più offrire prospettive ai giovani. La percentuale di disoccupazione giovanile nelle regioni meridionali (e l’Abruzzo ne è parte per fondamentali ragioni strutturali) raggiunge livelli assurdi, anche il 40%. Giovani destinati a invecchiare nelle case dei genitori che, sovente, tirano a campare con esigue pensioni di vecchiaia. Possibile che il ceto politico nazionale abbia messo in conto di rinunciare a una generazione intera e con questa scelta di rinunciare allo sviluppo stesso del paese? È una scelta consapevole oppure si tratta di sottovalutazione? Possibile che c’è voluto il sacrificio di una splendida ragazza come Fabrizia Di Lorenzo per risvegliare le coscienze dei nostri politici su un problema vitale per il futuro dell’Italia? Non si tratta solo dei centomila “cervelli” che scelgono la fuga per mancanza di futuro nel loro paese. Si tratta di milioni di giovani che restano in Italia senza che nessuno si prenda la briga di valorizzarli e di agevolare, con politiche idonee, il loro inserimento nel mondo del lavoro.

Il ministro Poletti con la sua uscita sui giovani che fuggono dall’Italia (“Conosco gente che è andata via e sicuramente il paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”) ha ammesso di essere stato infelice, ma come dice il poeta: “Voce dal sen fuggita. Poi richiamar non vale”. Non vale soprattutto perché la sua uscita evidenzia i limiti di una classe politica, nazionale e regionale, troppo intenta a maturare vitalizi e pensioni parlamentari piuttosto che a mettere in piedi politiche per favorire l’occupazione dei giovani.

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