IL NUTRIMENTO DEI PASTORI

ABRUZZO DEL GUSTO
By Gloria Danesi
Pubblicato il 29 Febbraio 2016

La micischia, carne secca di pecora o più raramente di capra, si ottiene in seguito a un processo di sgrassatura, disossatura, salatura, aromatizzazione ed essiccazione all’aria in modo assolutamente naturale, senza nessun procedimento di cottura  Pecora amore mio! Buona cotta ma anche essiccata. Lo chef Rubio, protagonista della trasmissione Unti e bisunti, con il suo cibo da strada assaggia la micischia sul tratturo magno, l’autostrada verde della transumanza “dove se magna e se beve da favola” e rimane estasiato dal gustoso patrimonio frutto della civiltà pastorale. Uno straordinario percorso quello che vedeva sciamare greggi e pastori che si snoda tra l’Abruzzo e la Puglia, connubio esemplare di natura, cultura e sapori: vedute alpine e marine, valli e altopiani mozzafiato; stupendi borghi e incantevoli chiese campestri; nell’aria profumi d’erbe e di fiori selvatici, effluvi di carne cotta alla brace e non, profumi di pecorino. La micischia è un prodotto legato per eccellenza alla pastorizia transumante a cui nei diversi areali montuosi abruzzesi si danno svariati nomi: vicischia, vicicchia, mucischia. Un tempo, fino agli anni sessanta del secolo scorso, una bontà facile da reperire; oggi, invece, la sua produzione è circoscritta a qualche paese di montagna o in occasione di feste tradizionali. La materia prima è la carne di pecora (raramente di capra), fornita da un animale non giovane né troppo grasso, disossata, salata, pepata ed essiccata esclusivamente all’aria. La micischia si presenta come una carne compatta, consistente e dal colore bruno, il sapore è deciso e fortemente sapido adatta, quindi, a palati non troppo delicati. A livello nutrizionale si deve sottolineare un alto contenuto proteico e una bassa quantità di grassi. La lavorazione prevede l’eliminazione delle parti interne e l’intera disossatura dell’ovino. Il taglio migliore è quello dalla spalla in giù che viene mantenuta in un unico pezzo; la carne viene tagliata con uno spessore uniforme e non molto alto per facilitare la penetrazione del sale e delle altre spezie composte da: pepe, peperoncino e rosmarino. Dopodiché la carne, steccata con rametti di salice o bastoncini di canna, si appende in locali ben aerati per l’essicazione. L’abbina-mento d’obbligo con questo speciale cibo antico è un superbo rosso, un bicchiere, colmo fino all’orlo di Montepulciano d’Abruzzo.

È Castel di Ieri, in provincia di L’Aquila, uno dei pochi paesi che con orgoglio identitario mantiene viva la tradizione della micischia, che qualcuno ha definito “il baccalà del pastore”. Grazioso e ben conservato borgo autentico medievale incastonato nell’incantevole Valle Subequana: 343 gli abitanti, 519 i metri sul livello del mare, sulla via Tiburtina Valeria. La parte più antica – posizionata su di un cocuzzolo – è difesa da una torre quadrangolare a base piramidale (voluta dai conti di Celano) sotto la quale si snoda, a spirale la via principale mentre a raggiera dipartono le altre vie, il tutto inglobato in una struttura a forma di fuso. Da non perdere: la casa del XV secolo con deliziosa bifora e vani di porte e botteghe tipiche dell’architettura aquilana; il tempio italico venuto alla luce nel 1987 e cinque tombe scoperte nel 2010 nella stessa zona. Il patrono san Donato martire, soldato romano, presidio contro l’epilessia, viene festeggiato nel mese di settembre, l’occasione richiama devoti-pellegrini da un ampio circondario, ma si replica anche la domenica dopo Pasqua in ricordo dell’arrivo delle spoglie. La salute dei piccoli viene, invece, affidata alla Madonna di Pietrabona con un pellegrinaggio alla chiesetta campestre a lei dedicata il martedì di Pasqua. suggestiva la cosiddetta “offerta” delle mamme casteldieresi che elevano i loro figli verso la statua della Vergine.

Tra i piatti tipici della Valle Subequana la cicoriella e la minestra di patate e cicerchie. A Santa Maria del Ponte, frazione di Tione degli Abruzzi, la seconda domenica dopo Pasqua si festeggia la Madonna addolorata o della Cicoriella. In questa giornata il piatto di rito è la cicoria in brodo di gallina: cipolla e sedano, a cui si uniscono pezzi di pancetta e di salsiccia. L’amaro della pianta simboleggia le amarezze e le sofferenze della Vergine nerovestita. La minestra prevede, oltre alle patate e alle cicerchie squisite leguminose (quasi introvabili), pomodori e patate a pezzetti, aglio, sedano e l’aggiunta di olio di oliva e zafferano di Navelli. L’Abruzzo, l’attualità del gusto retrò.

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