GUARDANDO a DON BOSCO

By Nicola Guiso
Pubblicato il 3 Maggio 2015

Mentre la politica italiana appare sempre più in-comprensibile (e qualche volta squallida per lotte personali nei partiti), a 200 anni dalla nascita di san Giovanni Bosco, la sua personalità e la sua opera  continuano ad imporsi alla nostra attenzione per la singolare, e affascinante, modernità che esprimono. E che meriterebbero considerazione da parte dei nostri governanti e dei nostri legislatori, alle prese con problemi che egli ha affrontato, dandogli risposte adeguate alle condizioni e alle esigenze del suo tempo; ma anche in base a valori e indirizzi attualissimi.

L’Italia, infatti, registra una disoccupazione giovanile (da 15 a 34 anni) vicina al 50%; e don Bosco scelse quale terreno privilegiato di azione religiosa e sociale la formazione professionale dei giovani delle classi più emarginate. E lo fece intuendo che il solo modo concreto perché quei giovani potessero affermarsi in una società rigida nelle divisioni di classe fosse quello di dargli una solida preparazione professionale, come richiesto dallo sviluppo industriale avviato a Torino. Sviluppando e arricchendo però questo indirizzo con la creazione di centri di studio (le scuole salesiane, oggi presenti in tutto il mondo) culturalmente qualificati, ma sempre collegati coi settori della ricerca e della produzione.

Piero Bairati – uno storico “laico” dell’economia – ha detto che la Torino industriale non sarebbe pensabile senza la cultura professionale diffusa con tanta efficacia da don Bosco. Perché “in una società disgregata, Giovanni Bosco si afferma come organizzatore, in un mondo di sbandati insegna il valore della disciplina e instilla nei giovani il senso dell’appartenenza a una istituzione. Ai miserabili e ai derelitti non predica una vaporosa religione del cuore, ma un sereno ordine interiore e il culto del lavoro, della precisione, delle cose ben fatte”. Per memoria: la prospettiva che don Bosco offriva ai suoi giovani (con lo spirito allegro e immediato che usava nel rapporto con loro) era “pane e paradiso”.

Perché il santo è attuale soprattutto in Italia? Perché il più della disoccupazione giovanile ha radice nelle follie ideologiche sessantottine contro le scuole professionali (“riserva a basso costo di manodopera per i padroni”, si diceva); e quelle attuali dell’ultrasinistra contro qualsiasi rapporto fisiologico tra università e imprese, anche in questo caso per “non fare il gioco dei padroni”. In sintonia, però con i “baroni” universitari, che non gradiscono interferenze e confronti con realtà esterne al loro mondo chiuso. Come prova il fatto, per esempio, che nel 2014 gli iscritti al primo anno di psicologia sono stati 4776; quelli iscritti alle facoltà collegate alla valorizzazione del patrimonio culturale 37. Mentre in Germania (con disoccupazione giovanile al 7%) oltre il 40 per cento degli universitari affina e perfeziona lo studio in rapporti col mondo delle imprese, in particolare nel settore della ricerca.

In Italia, infine, il ruolo della formazione professionale nelle nuove disposizioni riguardanti i contratti di lavoro attende ancora la messa a punto nei decreti attuativi del Jobs Act di recente approvato dal parlamento. Per tentare di superare questa situazione credo che occorrerebbe partire dalla coraggiosa affermazione, fatta poco tempo fa, da Luigi Berlinguer (già ministro della Pubblica istruzione), di formazione marxista ma – sono convinto – che sarebbe stata sottoscritta da don Bosco: “È tempo di chiudere questo conflitto del novecento: scuole statali contro private. Non esiste, non è più tra noi, ci ha fatto perdere tempo e risorse. (…) Basta guardarsi in giro e si scopre che l’insegnamento è pubblico, ma può essere somministrato da scuole pubbliche, private, religiose, aconfessionali, in una sana gara a chi insegna meglio”. Però – ecco il punto – l’auspicio di Berlinguer si realizzerebbe so-lo se le famiglie disponessero per i figli di “buoni-scuola” non negoziabili con cui scegliere le scuole da frequentare. L’opposto, dunque, di quanto disposto dall’attuale governo, con la presa in giro della possibile detrazione nella dichiarazione dei redditi di una elemosina per le somme destinate alla frequenza di un figlio in una scuola privata.

 

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