FUGA IN EGITTO E FIORITURA DI CHIESE

By Domenico Lanci
Pubblicato il 3 Dicembre 2016

Nel clima natalizio, soffuso di poesia, di angeli che cantano, di pastori che vanno al presepe, di re magi che si prostrano davanti “al nato re dei giudei”, irrompe come una mannaia lo spietato ordine di Erode di uccidere tutti i bambini di Betlemme e dintorni dai due anni in giù. In questo contesto si colloca il racconto del vangelo della fuga in Egitto.

L’angelo appare a Giuseppe e gli dice: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò; Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo. Egli si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: dall’Egitto ho chiamato mio figlio”.

Tra i libri del nuovo testamento, solo Matteo parla di questo evento e cita il passo di Osea: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. Il profeta fa riferimento all’Esodo quando Dio chiama Israele “mio figlio”. L’evangelista invece senza dare adito a equivoci applica la profezia a Gesù.

La fuga in Egitto dà spazio a tanti interrogativi: quale strada fece la santa famiglia? Dove ha soggiornato? Quanto tempo è rimasta in esilio? Il vangelo non dice nulla al riguardo. Per questo, al fine di integrare ciò che non è detto nei vangeli canonici intervengono quelli apocrifi. Sono documenti in cui elementi autentici sono mischiati a elementi fantastici. Di conseguenza, vanno letti con spirito di discernimento tra ciò che è vero e ciò che è falso. Vi si trovano molti fatti immaginari, come alberi di palma che si inchinano al passaggio di Gesù Bambino, bestie feroci che gli rendono omaggio. Ma anche notizie vere o verosimili.

I più noti vangeli apocrifi dell’infanzia sono: il Protovangelo di Giacomo. Redatto nel II secolo, racconta tra l’altro la nascita di Maria da Gioacchino e Anna e lo sposalizio di Maria e Giuseppe. Poi c’è il vangelo dello pseudo Tommaso, anch’esso del II secolo. C’è anche il vangelo dello pseudo Matteo, dell’VIII-IX secolo. Narra soprattutto i miracoli compiuti da Gesù nel viaggio in Egitto, alcuni di sapore naïf: leoni e leopardi che accompagnano Gesù; una palma che piega i rami per far cogliere i datteri; Gesù che crea dodici passerotti con l’argilla, batte le mani e volano via.

La riprova della storicità della fuga in Egitto, viene desunta dai luoghi in cui la santa famiglia ha soggiornato. Col tempo in quei posti sono sorti santuari di grande rinomanza. George Gharib, studiando i vangeli apocrifi, ha cercato di individuarne le tappe. La prima fu a Tal Basta, presso El Zakazik. In questo luogo appena vi sostò la santa comitiva, scaturì una fonte d’acqua a cui si dissetò Gesù bambino. Quell’acqua divenne miracolosa. Un’altra tappa fu a Wadi El Natrun. Questa località diverrà famosa perché fu scelta dagli eremiti della Tebaide.

Ritroviamo poi la famiglia di Nazareth ad Ain Shams. Qui si riposò all’ombra di un albero che prese il nome di Albero di Maria, perché accanto a esso scaturì acqua e vi crebbe una pianta aromatica, il balsamo. Quel luogo diverrà meta dei viaggiatori del medioevo e attualmente meta di folle di turisti. Dopo di che, la santa famiglia giunse nella zona antica del Cairo dove dimorò per breve tempo in una grotta. Non poteva restarvi a lungo perché la presenza di Gesù mandava in rovina tutti gli idoli nei templi. Dal Cairo si trasferì a El Maadi, presso Menfi, dove nel XIII secolo sorgerà la chiesa della Santa Vergine.

Sul sito si può ammirare ancora oggi la scala di pietra dell’epoca. Quindi, a Gabal El Tair ad Est di Samallut, dove è stato edificato il monastero della Santa Vergine. Una delle ultime tappe fu Monte Kuskam ad ovest di Assiut, dove i tre personaggi si fermarono per circa sei mesi. La grotta in cui si sistemarono fa da altare alla chiesa della Vergine del monastero di El Moharrak.

Dopo che Giuseppe ricevette dall’angelo la notizia della morte del re Erode, la santa famiglia riprese finalmente il cammino per la Palestina.

Giovanni Paolo II in occasione dell’anno mariano del 1988 volle descrivere alcuni santuari dell’Egitto dedicati alla santa famiglia: Il Villaggio di Matarieh. Ne parla così: “Si trova a breve distanza dal Cairo. La chiesa è dedicata alla Madonna in Meadi. Nu-merosi sono i pellegrini che giungono continuamente a questo santua-rio”. Accenna poi alla Grotta dedicata alla Ma-dre di Dio. “Si trova – dice il papa – sotto il santuario dei Santi Sergio e Bacco, nella vecchia Cai-ro. La sua storia antica e illustre registra anche, sotto gli auspici della madre di Dio, la presenza e l’influenza dei cattolici, in special modo dei francescani. Secondo la tradizione, l’attuale santuario dei Santi Sergio e Bacco sarebbe stato eretto sulla casa in cui soggiornò la santa famiglia. I santuari mariani dell’Egitto – conclude papa Wojtyla – oltre ad avere una specialissima importanza in quanto ricordano la presenza storica della santa famiglia, hanno sempre rivestito ed oggi più che mai rivestono, uno speciale interesse dal punto di vista ecumenico, a motivo della devota frequentazione da parte dei fedeli appartenenti a confessioni diverse”.

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