DIFFIDATE GENTE, DIFFIDATE…

intervista a Beatrice Mautino
By Gino Consorti
Pubblicato il 28 Febbraio 2018

“Attenzione – afferma la stimata biotecnologa e divulgatrice scientifica, autrice di un interessante libro sugli inganni e le bugie nel mondo dei cosmetici – a chi ci regala certezze facendola troppo semplice…”. Cellulite, parabeni, creme solari, lampade abbronzanti: ecco come stanno le cose

La cellulite, i parabeni, le creme solari, gli shampoo, le cerette, le lampade abbronzanti e tanto altro. Argomenti che fanno parte della quotidianità, soprattutto femminile, e che Beatrice Mautino, biotecnologa e divulgatrice scientifica, nell’interessante libro Il trucco c’è e si vede (Chiarelettere, pp.230, euro 15,00) affronta con grande onesta intellettuale accompagnata da ricerche e studi approfonditi. Definisce il suo un mestiere di mezzo, figlio appunto di una formazione scientifica, laurea in Biotecnologie industriali, e un dottorato in Neuroscienze. Una “rompiscatole”, nel senso buono ovviamente, che dubita di tutto e tutti, anche delle ricerche più rigorose. “Verifico mille volte ogni affermazione, faccio domande e cerco risposte per poi digerire tutto e raccontarvelo, dandovene i riferimenti in modo che possiate voi stessi risalire alle fonti. Poi però mi fermo. Sta a voi scegliere il prodotto o la tecnica che preferite al prezzo che ritenete giusto spendere”.Un bel biglietto da visita, non c’è che dire… Nessuna ricetta semplice o spot per questo o quell’altro prodotto cosmetico, solo risposte alle tante domande che ci facciamo ogni giorno. E non è certamente poco vista la complessità di un settore dove, è bene sottolinearlo, la maggior parte degli studi è condotta dalle aziende e quindi trovare informazioni critiche non è cosa di tutti i giorni…

La Mautino, che ha fatto ricerca nel campo delle Neuroscienze all’università di Torino, firma una rubrica di successo su Le Scienze, la più prestigiosa rivista di divulgazione scientifica italiana, collabora con giornali e riviste e cura mostre ed eventi scientifici di rilievo internazionale. Ascoltiamola.

Dottoressa sgomberiamo subito il campo da ogni possibile equivoco: i cosmetici venduti in farmacia sono più sicuri ed efficaci di quelli del supermercato?

Il fatto che un prodotto sia acquistabile in farmacia non costituisce di per sé una garanzia di sicurezza o efficacia rispetto a quelli venduti altrove. Creare prodotti specifici per canali di distribuzione diversi è una mossa di marketing che consente a un’azienda di raggiungere target di pubblico differenti.

Parabeni e sviluppo del tumore al seno: cosa dice oggi la scienza?

Che non c’è nessun motivo per pensare che i parabeni possano essere implicati nello sviluppo del tumore al seno. L’accusa a questo tipo di conservante risale a uno studio di una decina di anni fa che però si è rivelato fallace. Tanto che gli organismi di controllo europei ne consentono l’utilizzo e sconsigliano i produttori dall’utilizzo della dicitura “senza parabeni” sulle confezioni. Proprio per non confondere i consumatori.

Come giudica il livello di affidabilità della certificazione degli ingredienti nei prodotti cosmetici? In materia è più restrittiva la politica dell’Unione Europea o quella americana?

Dal punto di vista della sicurezza, noi consumatori possiamo stare tranquilli. A differenza degli Stati Uniti, l’Europa ha una politica in materia di sicurezza in cui vige il principio di precauzione: di fronte al ragionevole dubbio che un ingrediente possa essere nocivo, quell’ingrediente viene bloccato.

Ma le sostanze nuove, figlie di una ricerca che non conosce soste, in che modo sono garantite e quindi ritenute sicure?

Gli ingredienti nuovi sono sottoposti a una lunga trafila, che può durare anche molti anni, in cui vengono dapprima valutate tutte le prove scientifiche a disposizione da parte di un comitato di esperti, poi valutati tutti gli aspetti ambientali, economici e sociali legati alla loro immissione in commercio e solo se supera tutte queste fasi può essere utilizzata.

Ma una sostanza potenzialmente pericolosa, lo è veramente alle normali condizioni di uso? Qual è la differenza tra pericolo e rischio?

Il pericolo è la valutazione di tutti i possibili effetti collaterali legati a un determinato ingrediente indipendentemente dalle quantità e modalità di utilizzo. Il rischio, invece, tiene conto di questi aspetti. Quindi una sostanza “pericolosa” può non essere “rischiosa” se utilizzata in quantità tali da non provocare effetti collaterali.

C’è da diffidare degli scienziati che ci regalano certezze?

C’è da diffidare di chiunque ci regala certezze facendola troppo semplice. La valutazione del rischio legato a un determinato ingrediente è una materia estremamente complessa. Il rischio zero non esiste, per nessun ingrediente, nemmeno quelli che consideriamo innocui.

Mai come nei prodotti cosmetici la pubblicità gioca un ruolo importantissimo. Come muoversi in una giostra di annunci e rimedi miracolosi?

Per prima cosa bisogna accettare il fatto che i miracoli non esistono. Non esistono cosmetici in grado di eliminare le rughe, così come non ne esistono in grado di cancellare la cellulite. Se lo facessero, per la legge, non potrebbero essere considerati cosmetici, ma farmaci. Allo stesso modo è importante non lasciarsi trasportare dai messaggi che cercano di far leva sulle nostre paure.  

Ci spiega la differenze tra scientifico e “scientifichese”?

Capire la differenza fra scientifico e “scientifichese” è una delle grandi sfide per il consumatore moderno. Lo scientifichese è una lingua inventata dal marketing cosmetico che ricorda i termini scientifici, senza però avere nessun significato reale. L’esempio più famoso di scientifichese è l’acqua “micellare” che nei fatti è banalissima acqua e sapone a cui, però, è stato dato un nome che fa pensare a chissà quale innovazione scientifica….

Sugli shampoo cosa c’è da dire invece?

La funzione di uno shampoo è quella di pulire i capelli eliminando il sebo, una sostanza oleosa prodotta dalle ghiandole sebacee. Questa funzione è espletata dai tensioattivi o detergenti che sono presenti in tutti gli shampoo. Alcuni shampoo aggiungono poi altre sostanze che hanno un’azione simile a quella degli ammorbidenti e che sono caratteristici dei balsami: di fatto creano una pellicola attorno al capello e lo proteggono dall’umidità e dai danni meccanici.

È vero che fanno cadere i capelli?

I capelli cadono continuamente. Anche se non ce ne accorgiamo ne perdiamo in media tra i cinquanta e i cento al giorno: svolazzano per la strada mentre camminiamo, si depositano sui vestiti, vanno a finire sul pavimento e si infilano nelle pieghe del divano. La matassa di capelli caduti diventa evidente solo quando puliamo il sifone della doccia. Vediamo tanti capelli tutti assieme e siamo portati a pensare che i prodotti che usiamo per lavarli ne provochino la caduta, ma non è così.

Vero o Falso: per averli lucenti bisogna darsi da fare con la spazzola…

Falso. Ogni volta che passiamo la spazzola, mettiamo alla prova le cuticole, le scagliette che ricoprono il capello. Se le danneggiamo o le eliminiamo con sfregamenti vigorosi, non lamentiamoci poi se ci vengono le doppie punte…

Un altro interrogativo ricorrente, soprattutto del mondo femminile, riguarda la depilazione: meglio la ceretta o il rasoio?

Non esiste il meglio assoluto. Ognuno sceglie qual è il meglio per sé. Quello che è importante sapere è che utilizzare il rasoio non porta il pelo a crescere più spesso o forte. Sono leggende che si tramandano ormai di generazione in generazione, ma che alla prova dei fatti si sono rivelate infondate.

L’epilazione cosiddetta permanente è affidabile?

È una tecnica che funziona, nel senso che rimuove i peli per un periodo più o meno lungo a seconda dei casi. Non può essere considerata definitiva, nel senso che i peli prima o poi ricrescono, ma sicuramente è efficace.

Eccoci alla cellulite, un incubo per tante… Nel libro viene definita una malattia inventata…

Sono gli scienziati a farlo. È una condizione fisiologica legata all’organismo femminile e caratterizza il 90% delle donne. Oggi non sappiamo solo che ci sono differenze legate al sesso, ma sappiamo anche che, per esempio, la cellulite non è legata all’essere più o meno grasse. La cellulite, purtroppo o per fortuna, viene anche alle magre e magrissime. “Anche alle modelle – mi ha confessato una persona che per hobby fa il giurato ai concorsi di bellezza – si spalmano il cerone e via in passerella”. Perché la verità è che la cellulite ce l’abbiamo tutte, magre o grasse, belle o brutte. Tutte meno un’unica fortunata su dieci, stando alle statistiche, che se la scampa, anche se non sappiamo bene perché.

Buio pesto quindi…?

Ci sono molte ipotesi sul perché si formi la cellulite: si va dalle alterazioni del microcircolo sanguigno, all’influenza dei fattori ormonali, allo stile di vita sedentario e a molto altro, ma per il momento sono, appunto, solo ipotesi. Di sicuro c’entra la genetica, anche quella delle popolazioni. Le donne asiatiche e africane, ad esempio, mediamente hanno meno cellulite di quelle occidentali. E anche fra le occidentali c’è chi ce l’ha di più sulle cosce (noi mediterranee) e chi più sulla pancia (le nordiche), ma anche in questo caso non si sa ancora perché.

Esistono in commercio prodotti efficaci e risolutivi?

Nel 2013 un gruppo di ricercatori delle università di Pavia e Milano ha analizzato i risultati di tutte le ricerche pubblicate fino a quel momento riguardanti l’effetto delle creme sulla cellulite. Un lavoro grosso che viene definito “metanalisi” e si usa molto in medicina quando si vogliono mettere assieme e confrontare dati provenienti da molti studi differenti per cercare di fare il punto su un determinato farmaco o tecnica. Intanto scopriamo che “la maggior parte degli studi ha rivelato importanti falle metodologiche o carenze nel riportare i metodi utilizzati”, che significa che non erano fatti come si deve. Inoltre vediamo che alcune azioni possono avere un effetto, anche se solo temporaneo. Il massaggio, per esempio, è fra queste, ma la crema usata ha scarsa rilevanza. Andando però a confrontare i risultati su un parametro comune a quasi tutti gli articoli, ovvero la circonferenza delle cosce, si vede che un effetto complessivo potrebbe anche esserci, ma non così risolutivo. La media totale si aggira attorno a 0,5 centimetri, un numero che si dimezza ancora se si prendono in considerazione solo gli studi di alta qualità. Se poi facciamo lo stesso lavoro di metanalisi per i risultati degli studi sull’efficacia delle tecniche con sedicenti “macchinari di ultima generazione”, come la radiofrequenza, il laser o gli ultrasuoni, scopriamo che, “anche se sul mercato si trovano moltissimi trattamenti per la cellulite, nessuno può definirsi definitivamente efficace”. Anche in questo caso, i pochi effetti che si riescono a ottenere sono temporanei.

Bere molta acqua può aiutare?

La verità? La percentuale di acqua nel nostro corpo non va a modificare la struttura dei tessuti…

Eccoci alle creme solari. Quali sono le istruzioni basilari per l’uso?

Per prima cosa scegliere il fattore di protezione (Spf) adatto alla propria carnagione, poi metterne una quantità adeguata (la dose corretta è di 2 milligrammi per ogni centimetro quadrato di pelle, cioè circa 30 ml di crema. Infine ricordarsi di riapplicarla frequentemente. Se ci spalmiamo la crema alle nove del mattino e pensiamo di essere protetti fino alle cinque del pomeriggio, l’unica cosa di cui possiamo essere sicuri è che ci scotteremo.

Ci spiega meglio il fattore di protesione solare?

Semplificando molto, l’Spf indica la quantità di radiazioni “fermate” dal filtro: un Spf 6 lascerà passare un sesto delle radiazioni Uvb, il 17 per cento circa, e ci darà quindi una protezione dell’83 per cento, un Spf 30 ne lascerà passare un trentesimo e ci darà una protezione del 97 per cento, un Spf 50 ci darà una protezione del 98 per cento e così via. Più è alto l’Spf, meno Uvb passano, anche se, come potete vedere, man mano che cresce il numero di Spf, le differenze si affievoliscono. Tra il 97 per cento di protezione di un Spf 30 e il 98 per cento di un Spf 50 non c’è poi tutta questa differenza, e nemmeno con il 99 per cento di protezione dell’Spf 100 che ho visto in alcuni supermercati americani. La Comunità europea, infatti, per evitare che il consumatore sia tratto in inganno da numeri di Spf troppo alti, chiede ai produttori di non superare il valore di 50+ e di associare a ogni numero anche un aggettivo che descriva il grado di protezione dei filtri utilizzati. In conclusione danno una protezione bassa i filtri con Spf compreso tra 6 e 10, media quelli tra 15 e 25, alta quelli tra 30 e 50 e molto alta i prodotti con Spf 50+.

Qual è la differenza tra un filtro chimico e uno fisico?

Le sostanze utilizzate nelle creme solari sono tutte chimiche, anche quelle che vengono definite fisiche. Si tratta sempre di molecole che agiscono o assorbendo i raggi ultravioletti per trasformarli in qualcosa di meno dannoso o rimbalzandoli, provocando un effetto specchio.

Morale della favola…?

Quello che è davvero importante in una crema solare è come si comportano tutti questi filtri nel proteggerci dagli effetti dannosi delle radiazioni ultraviolette e, in particolare, di quelle che prendono il nome di Uva e Uvb. Quando si parla di raggi Uv li si mette tutti nello stesso calderone, ma in realtà sono molto diversi fra loro, per quantità, intensità e nocività. Gli Uva sono preponderanti. Costituiscono più del 90 per cento dei raggi Uv che incontriamo ogni giorno. Il resto è lasciato agli Uvb che, fortunatamente, vengono bloccati per la maggior parte dal grande filtro solare che sta sopra le nostre teste, lo strato di ozono. Gli Uvb sono pochi, si fermano negli strati più superficiali della pelle, ma sono i principali responsabili delle scottature. Volendo trovar loro un soprannome, potremmo chiamarli “raggi ultraviolenti”, motivo per cui, storicamente, le creme solari si sono concentrate su di loro. Gli Uva sono più subdoli, perché non ci fanno scottare, ma penetrano nella pelle in profondità e lì, raggio dopo raggio, stimolano la formazione di radicali liberi che danneggiano sia le strutture che tengono su la pelle, provocando rughe e invecchiamento, sia il Dna delle cellule, inducendo mutazioni che aumentano il rischio di sviluppare tumori.

È vero che non siamo sicuri neanche dietro un vetro?

Se è vero che il vetro scherma i raggi Uvb è anche

vero che gli Uva passano abbastanza indisturbati, come dimostrano le fotografie impressionanti dei volti di camionisti o tassisti con la metà del viso in ombra che sembra di vent’anni più giovane della metà che prende costantemente il sole dal finestrino. Il vetro, filtrando la componente ultraviolenta della radiazione luminosa, ci dà l’idea di essere protetti e quindi resistiamo di più di quello che faremmo normalmente se fossimo coricati al sole e, magari, non ci mettiamo neanche la crema, col risultato che assorbiamo una dose di Uva molto maggiore di quella che assorbiremmo in una giornata passata in spiaggia.

Ogni anno nel nostro paese si contano circa seimila casi nuovi di tumori della pelle. Sono note le cause di questo incremento allarmante?

Il meccanismo d’azione che porta alla formazione dei tumori della pelle è dovuto agli effetti distruttivi dei raggi ultravioletti, gli stessi che portano i melanociti a difendersi producendo più melanina. Parliamo principalmente di mutazioni del Dna, ma non solo. Gli ultravioletti, infatti, agiscono anche aumentando i processi infiammatori, come sperimentiamo ogni volta che ci viene un eritema e come sa chi vede rifiorire il proprio herpes dopo ogni bagno di sole, e riducendo le difese immunitarie dell’organismo. Questi tre effetti messi assieme provocano danni a lungo termine e aumentano sicuramente il rischio di sviluppare tumori.

Un’ultima curiosità: sì o no alle lampade abbronzanti?

Assolutamente no. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, dopo un lungo processo di revisione, ha concluso che sottoporsi a sedute abbronzanti aumenta il rischio di contrarre un melanoma e ha inserito questi trattamenti nell’elenco dei “sicuri cancerogeni”. A partire dalla metà degli anni ottanta in Islanda è scoppiata la moda dei lettini abbronzanti. Gli islandesi, come tutti i popoli nordici, il sole lo vedono poco, un po’ per la latitudine che li fa vivere per sei mesi quasi al buio, un po’ perché anche nei sei mesi di luce il cielo è spesso coperto. L’entusiasmo per i solarium si è però un po’ spento quando, in concomitanza della diffusione dei dispositivi abbronzanti, si sono iniziati a registra- re sempre più casi di melanoma fino ad arrivare a quella che gli esperti hanno definito un’epidemia. Fino agli anni novanta il popolo islandese aveva la più bassa incidenza di tumori della pelle dei paesi del Nord, tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila sono schizzati al primo posto, tanto da convincere le autorità ad avviare una campagna informativa capillare che ha ridotto l’uso dei lettini abbronzanti e, di conseguenza, anche l’incidenza del melanoma.

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