CONOSCERE LA VERITÀ È UN DIRITTO

il punto
By Stefano Pallotta
Pubblicato il 1 Maggio 2014

Uno spettro si aggira per l’Italia: è il circolo mediatico-giudiziario. Uno spettro che costringe i magistrati a celebrare i processi a porte chiuse; i manager delle grandi industrie a sentirsi perseguitati per aver semplicemente interrato per decenni rifiuti tossici inquinando falde acquifere e avvelenando centinaia di migliaia di persone; i sindaci a diramare comunicati stampa contro i pericolosi e infondati allarmi seminati incautamente dallo spettro errante.

Non stiamo scherzando: è proprio così. La ulteriore dimostrazione che la stampa e i giornalisti rappresentano i mali di tutto quello che di negativo accade nel nostro paese la si è avuta alcune settimane fa per la vicenda della discarica di rifiuti tossici, più grande d’Europa (si dice a ragione) di Bussi sul Tirino, lì dove finisce la catena del Gran Sasso e comincia quella del Morrore-Maiella, sopra i confini di due parchi nazionali. Ebbene, il processo a carico di coloro che per oltre 30 anni hanno tenuto all’oscuro migliaia di persone che inconsapevolmente hanno bevuto (fino al 2007) acqua provenienti dai pozzi inquinati da sostanze che l’Istituto di sanità ritiene altamente velenosi per l’uomo, si è celebrato a porte chiuse per garantire la difesa dai possibili  inquinamenti (ironia delle parole) del “circolo mediatico-giudiziario”. Non importa che la vicenda abbia riguardato 700 mila persone che avrebbero il diritto di sapere come la loro salute sia stata sacrificata sull’altare del profitto capitalistico, dei risultati d’azienda e del vantaggio degli azionisti. Non importa che per anni, decenni, i responsabili di quell’industria sapevano e hanno taciuto, anzi, a quanto pare, hanno addirittura invitato a sofisticare i dati dei rilevamenti per far risultare nella norma i parametri dell’inquinamento.

Come può il diritto alla conoscenza della verità da parte della pubblica opinione confliggere con i diritti della difesa? La pubblicità del processo è di per sé una garanzia per tutti, soprattutto quando esso coinvolge un così vasto interesse pubblico. I cittadini hanno il diritto di sapere, conoscere, passo dopo passo, come le istituzioni, che dovrebbero proteggerli, stanno esercitando la loro azione di tutela dei violati diritti umani e costituzionali. E hanno il bisogno di saperlo attraverso quel “circolo mediatico-giudiziario” che rappresenta forse, l’unico cane da guardia a difesa dei loro diritti imprescindibili. Privarli di questo significa colpirli per la seconda volta: con l’inquinamento direttamente sulla loro salute, con la segretezza direttamente sull’intangibile diritto a conoscere la verità. Anche i sindaci di quella zona dovrebbero osservare una qualche cautela in più quando attribuiscono ai media la responsabilità dell’allarme generato attorno alla vicenda.

Oggi, dicono, l’acqua è pulita e sono pronti a farsi fotografare con caraffe e bicchieri pieni per dimostrare che loro non hanno timore di bere l’acqua dei rubinetti. Se solo questi amministratori, di oggi e di ieri, fossero stati altrettanto accorti a capire che fine facevano i rifiuti tossici della più grande industria della zona forse oggi avrebbero il diritto di lanciare reprimende e avvertimenti contro i giornali. Ma non ce l’hanno.

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