Catacombe di san Sebastiano – Roma

Il martire che sfidò l’imperatore
By Domenico Lanci
Pubblicato il 5 Luglio 2016

Nella vita di san Filippo Neri si legge che lui nei giorni festivi era solito fare, insieme a un manipolo di ragazzi, delle passeggiate per i principali luoghi di culto della città eterna. Le chiamava familiarmente visite, perché in ognuna di esse si soffermava in preghiera. Tra queste visite non mancava mai quella alle catacombe di san Sebastiano. Grazie a queste tipiche passeggiate ebbe origine il pellegrinaggio più famoso di Roma: La visita alle sette chiese.

Noi non possiamo visitarle tutte. Ci limitiamo alle catacombe di san Sebastiano. Prima però occorre spiegare il significato di alcune parole-chiave. Comincio con l’etimologia della parola catacomba. Alcuni studiosi la fanno derivare dalla locuzione greca katá kýmbas che significa “presso la cavità o le grotte”. In pratica, erano siti in cui da un tipo di tufo si estraeva la pozzolana, materiale usato dagli antichi romani per l’edilizia. Le catacombe potevano avere più livelli fino a venti metri di profondità. Quelle di san Sebastiano ne avevano quattro ed erano ubicate in un avvallamento detto ad catacumbas. Durante il I secolo vennero usate come luoghi funerari pagani. Poi, verso la fine del II secolo il sito si trasformò in necropoli cristiana dedicata ai santi Pietro e Paolo. Una tradizione, avvalorata tra l’altro da interessanti graffiti di pellegrini con invocazioni ai due apostoli, lascia intendere che qui fossero nascosti in una cella memoriae i resti dei due santi, prima della costruzione delle due basiliche sul colle Vaticano e sulla via Ostiense.

Un altro elemento da spiegare è la denominazione attribuita alle catacombe. Molte si svilupparono intorno ai sepolcri di famiglia. Grazie allo spirito di comunione esistente nelle comunità cristiane, i proprietari dei siti funerari non li usarono esclusivamente per sé, ma li resero disponibili anche per la sepoltura dei loro fratelli nella fede. Ecco perché le catacombe portano i nomi dei proprietari. Si pensi a quelle di Priscilla sulla Salaria, di Domitilla sulla via delle Sette Chiese, di Pretestato sull’Appia Pignatelli, le cripte di Lucina sull’Appia antica. Ma ci sono anche catacombe che recano nomi dei martiri che in esse furono sepolti. Come quelle di san Sebastiano, san Lorenzo, san Pancrazio, san Callisto. Dicono che in Italia ci siano oltre 120 catacombe di cui oltre 60 a Roma. Va detto pure che i cristiani non si radunavano nelle catacombe per sfuggire alle persecuzioni, ma per pregare sulle tombe dei martiri o dei propri defunti.

Sul martirio di san Sebastiano, abbiamo notizie nella Passio sancti Sebastiani. Si tratta di un tipo di narrazione in cui compaiono elementi fantasiosi, insieme ad elementi autentici che costituiscono il nucleo storico.

San Sebastiano era un ufficiale dell’esercito imperiale. Per l’esattezza, capo degli arcieri. Grazie alla sua perizia e serietà godeva grande stima presso Diocleziano. Ma era cristiano. E come tale, non si teneva la fede per sé. Con l’esempio e con le parole era riuscito a convertire non poche persone tra i soldati e all’interno della corte. La cosa venne risaputa dall’imperatore. Questi, che già aveva decretato la persecuzione dei cristiani, rimase fortemente deluso e sconcertato. Lo fece venire al suo cospetto e gli disse: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me”. Quindi, lo condannò a morte. “Fu legato a un palo in un sito del colle Palatino, denudato e trafitto da così tante frecce in ogni parte del corpo da sembrare un istrice. I soldati, che erano i suoi arcieri, al vederlo morente e perforato dai dardi, lo abbandonarono sul luogo affinché le sue carni cibassero le bestie selvatiche. Ma non lo era. Santa Irene, che andò a recuperarne il corpo per dargli degna sepoltura, si accorse che il soldato era ancora vivo, per cui lo trasportò nella sua dimora sul Palatino e prese a curarlo.

Sebastiano, prodigiosamente sanato, nonostante i suoi amici gli consigliassero di abbandonare la città, decise di proclamare la sua fede al cospetto dell’imperatore. Il santo raggiunse coraggiosamente Diocleziano e il suo associato Massimiano, che presiedevano alle funzioni nel tempio eretto in onore del Sole Invitto poi dedicato a Ercole, e li rimproverò per le persecuzioni contro i cristiani. Sorpreso alla vista del suo soldato ancora vivo, Diocleziano diede freddamente ordine che Sebastiano fosse flagellato a morte, castigo che fu eseguito nel 304 nell’ippodromo del Palatino, per poi gettarne il corpo nella cloaca maxima. Tuttavia, prima di arrivare al fiume, il corpo si impigliò nei pressi della chiesa di San Giorgio in Velabro dove fu ritrovato dalla matrona Lucina che provvide a dargli sepoltura nella catacomba.

Sul ritrovamento operato da Lucina, un’antica tradizione offre un’altra versione molto suggestiva. Si dice che il martire Sebastiano le sia apparso in sogno e le abbia detto: “Vieni, prendimi in questo luogo e portami ad catacumbas, presso la cava”. La cripta in cui si conserva il suo corpo si trova al primo livello delle catacombe. Nello stesso livello sono stati rinvenuti negli anni venti tre interessanti mausolei pagani: Il primo è detto di Marcus Clodius Hermes; il secondo, degli Innocentiores; il terzo si chiama dell’ascia, per l’arnese raffigurato sul timpano del frontone.

Nell’anno 826 il corpo di san Sebastiano, per volere di papa Eugenio II fu trasferito, per timore dei Saraceni, a San Pietro. Poi, nel 1218, in occasione dei restauri delle catacombe, Onorio III dispose che il corpo venisse riportato nella sua originaria cripta, dove attualmente si trova.             lancid@tiscali.it

 

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