Ultimamente mi è capitato di avere una forte discussione con persone che frequentano poco la parrocchia. Premetto che sono ministro straordinario dell’eucarestia e mi hanno chiesto se è bene dare la comunione a persone incoscienti o a disabili mentali. I pareri non sono concordi. Lei, padre, cosa mi suggerisce? Mario M. (Campobasso)
La Chiesa è la casa di tutti, in particolare di coloro che, per limiti fisici o mentali, ma anche per pregiudizi, rischiano di rimanere ai margini. Non si tratta di fare qualcosa per loro, ma di favorirne l’integrazione e di renderli partecipi della missione della Chiesa, che è quella di prolungare nella storia la missione di Gesù Cristo. In forza del battesimo tutti sono soggetti attivi della comunità cristiana! Tra le varie disabilità mentali presenti nella storia dell’umanità, due tipi possono mettere in crisi la nostra capacità di relazione umana e religiosa.
Il primo tipo comprende alcuni con disturbi gravi e cronici o con limitazioni per danni celebrali. Per questo tipo di disabilità si consigliano incontri e colloqui che li coinvolgono nella preghiera e nella celebrazione eucaristica. Per ammetterli alla comunione è sufficiente cogliere il desiderio manifestato in modi diversi, anche non verbali. Il secondo tipo di disabilità comprende coloro che, almeno all’esterno sembrano vivere di vita vegetativa e non reagiscono a stimoli sensoriali elementari. È il caso estremo!
Sembra così, ma non si hanno certezze. La persona, anche in condizioni psicologiche gravemente compromessi o in apparenza inerti, rimane un mistero. Ma chi l’ama riesce a fare breccia nel suo animo! Di fronte a questi limiti che sembrano insormontabili è necessario provare a far capire loro il grande amore di Gesù. In ogni caso è cosa sapiente prestare ascolto ai genitori o a chi vive con loro, che domandano la comunione per i propri figli o assistiti. Nel dubbio si è nel giusto se la domanda viene accolta.