DRITTO AL CUORE DEGLI UOMINI

papa Bergoglio piace
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 1 Giugno 2013

Il vescovo Francesco, ha smosso la pietra secolare di un temporalismo papale costruito sull’estetica della gloria (terrena) e sull’ermeneutica della potenza. Ma ora, AD appena tre mesi dalla sua elezione, già si vedono i primi sbiaditi (ma importanti) passi verso i “distinguo”, i “vediamo” Papa Francesco piace. Ai fedeli, a chi è in ricerca, persino alla stampa. Un idillio che dura dall’inizio del suo pontificato e che è in continua crescita. Il suo stile semplice, sobrio, di poche parole e di grandi fatti, coglie impreparati coloro che per “mestiere” cercano ogni giorno di capire il valore effettivo di un pontificato sorprendente. Ci sono i nuovi incarichi di curia da nominare, primi tra tutti il segretario di stato, e una linea pastorale e teologica da mostrare a mondo intero. Le attese (e le pretese) sono tante. Poi c’è una novità importante del ministero di Francesco: la messa della mattina alla residenza Santa Marta. È lì che, attraverso omelie semplici e lineari, sta prendendo forma la sua idea di chiesa. Prendiamo ad esempio l’omelia del 24 aprile, dedicata esclusivamente alla banca vaticana, lo Ior (pronunciata, va detto, davanti ai dipendenti dello Ior stesso): “Quando la chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una Ong. E la chiesa non è una Ong. È una storia d’amore… Ma ci sono quelli dello Ior… Scusatemi, eh!… Tutto è necessario, gli uffici sono necessari… eh, va bè! Ma sono necessari fino a un certo punto: come aiuto a questa storia d’amore. Ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la chiesa, poveretta, diventa una Ong. E questa non è la strada”. Il probabile smantellamento o ridimensionamento della banca vaticana è una delle questioni più importanti all’interno del progetto di riforma della curia voluto da Francesco e caldeggiato durante le riunioni pre-conclave dalla maggioranza dei cardinali. C’è tutto quello che serve, dunque, per immaginare un ministero ricco di novità sulla strada di un annuncio di un vangelo povero e in dialogo con il mondo contemporaneo. Francesco, il vescovo Francesco, ha smosso la pietra secolare di un temporalismo papale costruito sull’estetica della gloria (terrena) e sull’ermeneutica della potenza. Ma ora, ad appena tre mesi dalla sua elezione, già si vedono i primi sbiaditi (ma importanti) passi verso i “distinguo”, i “vediamo”. Nel web i critici si fanno sentire, ma è nel passaparola quotidiano, nelle messe della domenica, durante le riunioni pastorali, nelle omelie un po’ “impacchettate” di un clero un po’ timoroso della novità che questo papa incarna (e poi, timoroso di che?) che qualcosa sta succedendo all’interno del mondo ecclesiale. “Non ci piace l’idolatria che c’è intorno a questo papa”. “Francesco riempie le piazze, ma le nostre chiese sono vuote”. “Vedrete che prima o poi questo papa tirerà fuori il suo lato conservatore”. Sono frasi che cominciano a girare nelle parrocchie e nelle aggregazioni ecclesiali. C’è un’ala conservatrice che ancora non si rassegna alla bellezza di una profezia che scalda i cuori, avvicina i lontani, parla al mondo con le parole del vangelo. Questo il quadro. Un po’ triste. Eppure sarebbe il tempo giusto per riprendere in mano il vangelo della speranza, e lasciare in sagrestia antiche rendite di posizione legate a uno status ecclesiale che forse aveva un certo senso un tempo (nel medioevo) ma che ora manifesta tutta la sua inadeguatezza rispetto alle nuove istanze che vengono dalla crisi della contemporaneità. È giusto non generalizzare. I pastori, nella maggioranza, sono appassionati ed entusiasti del lieto annuncio, a rischio talvolta del martirio o della solitudine sociale. Impegnati come pochi nelle periferie urbane del disagio o nelle centralissime parrocchie dell’indifferenza spirituale. Sono degli eroi. Ma è chiaro che l’elezione di Francesco se da una parte ha trasformato gli animi dei cosiddetti “lontani”, dall’altra ha provocato un po’ di suspanse nella fragilità psicologica di un certo tipo di clero che ha vissuto negli ultimi decenni una crisi non solo numerica ma anche e soprattutto formativa e spirituale. Lo ha capito, benissimo, il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, che obbliga i suoi preti a corsi di formazione (tutti di qualità) continui come mai si era visto nella capitale. C’è una paura latente ma palpabile in qualche animo amante del clima ecclesiale degli anni passati: che la rivoluzione della tenerezza di Francesco infanghi una posizione sociale di privilegio costruita in millenni in favore dell’accoglienza dell’alterità dove la mitezza e la sobrietà diventano virtù teologali perché vive, incarnate nel verbo. Il noto vaticanista Sandro Magister, nel suo blog, elenca questi “distinguo”. Ne raccogliamo uno: “Questa benevolenza dei media nei confronti di papa Francesco è uno dei tratti che caratterizzano questo inizio di pontificato. La soavità con cui egli sa dire le verità anche più scomode agevola questa benevolenza. Ma è facile prevedere che prima o poi essa si raffredderà e lascerà il passo a un riaffiorare delle critiche. Una prima avvisaglia si è avuta dopo che papa Bergoglio, il 15 aprile, ha confermato la linea severa della congregazione per la dottrina della fede nel trattare il caso delle suore degli Stati Uniti riunite nella Leadership Conference of Women Religious. Le proteste che si sono subito levate da queste suore e dalle correnti liberal del cattolicesimo non solo americano sono suonate come l’inizio della rottura di un incantesimo”. Per ora l’attenzione dei critici si basa solo su un possibile “incantesimo” che un giorno o l’altro può rompersi. Ai fedeli innamorati di Francesco resta invece la convinzione che lo Spirito ogni tanto sa parlare al cuore degli uomini. Oltre che alla sua amata chiesa.

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