DOVE ABITA LA FELICITÀ?
FELICE L’UOMO CHE MI ASCOLTA VEGLIANDO OGNI GIORNO ALLE MIE PORTE PER CUSTODIRE GLI STIPITI DELLA MIA SOGLIA
Nessuno può dire di non desiderare la felicità, se per felicità si intende non solo il benessere materiale o il quieto vivere, bensì quello stato di vita che consente di vivere in pace con se stessi, con il prossimo e con Dio. Il grande Agostino d’Ippona la chiamerebbe la vita beata, che ovviamente non riguarda solo il futuro escatologico ma pure il nostro vivere nel tempo presente. Il segreto sta nel sapere e nel ritenere dove abita la felicità, quella vera, chi la può donare e a quali condizioni la si può sperimentare. La parola di Dio scritta ha qualcosa di importante da dirci anche a questo proposito.
OCCORRE SAPER DISCERNERE
“Anche nel riso il cuore prova dolore / e la gioia può finire in pena” (Pro 14,13). Ci vorrebbe la sensibilità spirituale di Qoélet per cogliere quella vena di sano realismo che caratterizza questo proverbio. Lui che ha scritto: “Io dicevo fra me: vieni, dunque, voglio metterti alla prova con la gioia, gusta il piacere! Ma ecco, anche questo è vanità. Del riso ho detto: follia! / e della gioia: a che giova?” (2,1-2).
La vita nostra sulla terra è troppo complessa, spesso imprevedibile e talvolta sconvolgente, per non dover condividere questa riflessione, mista a tristezza. Occorre rilevare che il proverbio non accenna all’alternarsi di gioie e dolori in tempi successivi, bensì alla presenza simultanea della pena e della gioia in una particolare situazione.
Il riso infatti può tramutarsi in dolore e la gioia tramutarsi in pena. Ci vuole poco a causare un simile cambiamento: una parola offensiva, una notizia inaspettata o forse anche il sorgere di un sospetto. Con poco è possibile passare da un sentimento al suo contrario per motivi che talvolta sfuggono anche alla persona interessata.
FELICE L’UOMO CHE MI ASCOLTA
Ecco come si esprime la Sapienza divina personificata, attribuita a Salomone: “Felice l’uomo che mi ascolta / vegliando ogni giorno alle mie porte / per custodire gli stipiti della mia soglia” (Pro 8,34). Qui si allude chiaramente alla casa della Sapienza (le porte e gli stipiti) come al luogo più desiderabile perché è la casa che Dio apre ai suoi figli e figlie desiderosi di imparare e di vivere secondo i suoi comandamenti. È la casa dell’intimità divina: quella intimità che Dio concede ai veri ricercatori della Sapienza: “Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà / la troverà seduta alla porta” (6,14).
L’ascolto è il primo atteggiamento da assumere verso Dio che ci parla per introdurci nel segreto della sua vita. Solo dall’ascolto docile e operativo può nascere quella sintonia profonda con la parola, che crea comunione: sia verticale con Dio sia orizzontale tra i discepoli della Sapienza.
“Vegliare alle porte della Sapienza” significa vivere nella costante ricerca dei doni che solo Dio può offrire. Stando alle porte della casa della Sapienza il vero discepolo ne custodisce la soglia: sia per non lasciar entrare gli stolti, la cui presenza rovinerebbe la festa dei discepoli della Sapienza, sia per dare il lasciapassare ai saggi, la cui presenza invece aumenta la gioia di coloro che, essendo tutti figli della Sapienza, si riconoscono come fratelli.
BEATO CHI ASCOLTA!
Si legge nel libro dell’Apo-calisse: “Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta io verrò da lui, cenerò con lui e lui con me” (3,20). Ciò che l’angelo della chiesa di Laodicea ordina di scrivere vale non solo per quella chiesa ma per tutti.
È l’amen che parla, cioè “il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio” (3,14) e così si stabilisce una chiara identificazione con la Sapienza e con la parola primordiale di Dio: chi ascolta la parola di Gesù entra in piena sintonia con la parola di Dio tout court e quindi anche con la parola creatrice di Dio.
Sono degni di nota tutti i dettagli offerti in queste poche parole: colui che parla sta alla porta e bussa: non vuole entrare senza il permesso di chi sta nella casa. Poi invita all’ascolto: non vuole parlare se non a chi si dichiara disponibile ad ascoltare. Poi chiede che gli si apra la porta: non vuole entrare se non nella casa di chi si dichiara disposto ad accoglierlo senza riserve. Infine dichiara le sue intenzioni: di stabilire piena intimità (che ovviamente non è solo conviviale) con chiunque lo accoglie.
Questa è la casa dove abita la vera felicità!