DOPO ISTANBUL SULLA VIA DELLA PACE

Nella moderna Istanbul si respira un anelito di pace. C’è Francesco, il vescovo di Roma, a rappresentare la primazia nella carità della chiesa di Roma riconosciuta anche dai fratelli ortodossi. C’è Bartolomeo I, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, a tendergli la mano. E ci sono i musulmani, incantati da padre Jorge, “come noi”, recitano i giornali.

I gesti, oltre le parole, seppur importanti, nella recente visita di papa Francesco al patriarcato di Costantinopoli. La misericordia, il rispetto per ogni uomo e per ogni religione e fede, la certezza che tutto è nelle mani di Dio ma che, oggi, in una Istanbul avvolta da profumi d’incenso, è possibile sperare. I gesti sono importanti nella capitale cosmopolita per definizione, nella Gerusalemme d’Europa e d’Asia che accoglie a bassa voce etnie e credi diversi. I gesti di vescovo Francesco portano con sé la regalia del dono inaspettato, ridando vita alle stupende icone di Bisanzio e allo splendore dell’antica Costantinopoli. I gesti di un uomo innamorato di Dio e dell’umanità tutta.

Quel capo chino di Francesco mentre chiede benedizione al patriarca Bartolomeo I ha fatto il giro del mondo. Ha oltrepassato i cuori delle chiese sorelle dopo quasi mille anni di distanza e di scomuniche reciproche. Non ci sono più ostacoli irrinunciabili al pieno ritorno della comunione tra cattolici e ortodossi, né sul piano ecclesiale né su quello teologico. Si lavora, da tanto, con apposite commissioni. Si dialoga, insieme. Ma qui c’è un fatto importante a gettare luce di buon futuro: la possibilità che il ministero petrino del vescovo di Roma sia compreso nella sua originale primazia nella carità e nel servizio tra tutte le chiese. Una primazia che non si vanta di poteri temporali e di vetusti atti di supremazia ecclesiale. Francesco rompe, con la sua visita a Istanbul, il gelo della diffidenza reciproca e anticipa un tempo kairologico che non potrà essere che un futuro di pace e unità.

Per monsignor Mansueto Bianchi, assistente generale di Ac e presidente della Commissione episcopale italiana per l’ecumenismo e il dialogo, “quello di Francesco era un viaggio complesso che si esponeva su diversi fronti: il versante politico con una nazione, la Turchia, che è in contatto con le vicende dell’estremismo islamico; il dialogo interreligioso e i rapporti con i musulmani; il dialogo ecumenico con Bartolomeo I al Fanar; e, non ultimo, la vicinanza alla comunità cattolica turca che vive una diversità di riti nel mare islamico. Francesco è riuscito a collocare un messaggio di unità alle chiese sorelle e al mondo islamico come via naturale della pace. E poi, ancora, è riuscito a smentire l’idea che le religioni siano, di loro natura, mezzo per esprimersi con violenza e intolleranza. Mentre – sono proprio le parole di Francesco – ha detto che usare la violenza in nome di Dio è la cosa più atroce che si possa fare”.

Nell’intervista sul volo di ritorno, poi, Francesco ha parlato del dialogo interreligioso, chiedendo ai leaders politici, intellettuali e religiosi dell’islam di condannare il terrorismo fondamentalista. E sull’unità con gli ortodossi ha semplicemente detto, con il suo linguaggio semplice ma diretto, che la via non è quella dell’uniatismo della chiese orientali. “Io sono andato in Turchia come pellegrino, non come turista. E sono venuto precisamente per la festa di oggi, dal patriarca Bartolomeo. Quando sono andato in moschea non potevo dire: adesso sono un turista! Ho visto quella meraviglia, il muftì mi spiegava bene le cose con tanta mitezza, mi citava il corano là dove si parlava di Maria e di Giovanni Battista. In quel momento ho sentito il bisogno di pregare. Gli ho chiesto: preghiamo un po’? Lui mi ha risposto: Sì, sì. Io ho pregato per la Turchia, per la pace, per il muftì, per tutti e per me… Ho detto: Signore, ma finiamola con queste guerre! È stato un momento di preghiera sincera”.

E sulle prospettive ecumeniche: “Il mese scorso in occasione del sinodo è venuto come delegato il metropolita Ilarion e lui ha voluto parlarmi non come delegato al sinodo ma come presidente della commissione del dialogo ortodosso cattolico. Io credo che con l’ortodossia siamo in cammino, hanno sacramenti e successione apostolica, siamo in cammino. Se dobbiamo aspettare che i teologi si mettono d’accordo, mai arriverà quel giorno! L’unità è un cammino che si deve fare insieme, è l’ecumenismo spirituale, pregare insieme, lavorare insieme. Poi c’è l’ecumenismo del sangue: quando questi ammazzano i cristiani, il sangue si mischia. I nostri martiri stanno gridando: siamo uno. Andare coraggiosamente su questo cammino, avanti, avanti. È una cosa forse che qualcuno non può capire. Le chiese orientali cattoliche hanno diritto di esistere, ma l’uniatismo è una parola di un’altra epoca, si deve trovare un’altra strada”.

Il bacio di Bartolomeo I sulla fronte di Francesco, e i piedi scalzi del vescovo di Roma nella grande Moschea Blu. Questo conta. Il rispetto, e la condivisione del destino dell’uomo, come via privilegiata per la pace. Francesco e Bartolomeo, al termine della divina liturgia della festa di Sant’Andrea, firmando un testo comune che parla delle persecuzioni dei cristiani, prendono coraggio: “Ci appelliamo a tutti coloro che hanno la responsabilità del destino dei popoli – si legge nella dichiarazione – affinché intensifichino il loro impegno per le comunità che soffrono e consentano loro, comprese quelle cristiane, di rimanere nella loro terra natia. Non possiamo rassegnarci a un Medioriente senza i cristiani, che lì hanno professato il nome di Gesù per duemila anni”.

Dietro i problemi ecclesiologici e teologici che da un millennio ostacolano la piena unità delle chiese sorelle, la visita di Francesco a Istanbul ci indica che il dialogo ecumenico e interreligioso non è solo una tappa di “buon vicinato”, ma rappresenta la sola e unica via di pace in un Medioriente dove chiunque potrà avvicinarsi al suo Dio chiamandolo con il nome indicato dagli antichi padri e profeti. L’abbraccio tra gli apostoli Pietro e Andrea, e tra i loro successori Francesco e Bartolomeo I, scioglie mille anni di incomprensioni.

Ancora una volta, la speranza del mondo è racchiusa nel racconto della scrittura sacra.