DOLORI DEL GIOVANE RENZI
Fiutata l’aria a pochi giorni dai risultati delle elezioni regionali e comunali di fine maggio e metà giugno, Matteo Renzi aveva tentato di negare o attenuare i possibili significati politici del voto. Ma in particolare quello nelle regioni e nei capoluoghi, proprio sotto il profilo politico hanno creato conseguenze devastanti per il segretario del Pd e presidente del Consiglio, destinate inoltre a durare a lungo. Hanno infatti ridato fiato nel Pd alle opposizioni interne di sinistra, rafforzate inoltre (tatticamente e strategicamente) dalla nascita della Coalizione sociale di Landini, che può contare non solo sulle tute blu della Fiom, ma anche su pezzi della sinistra elitaria di Rodotà e di Zagrebelsky, influenti nei settori dell’informazione e della finanza.
Mentre scrivo, queste insorgenze a sinistra, decise a contrastare soprattutto la politica sociale e quella scolastica di Renzi, hanno già contribuito al forte rallentamento in senato della discussione della riforma scolastica e di quella istituzionale, che il presidente del Consiglio aveva programmato (perentoriamente) di volerle approvare entro luglio. Mentre le difficoltà parlamentari della prima rischiano già di rendere impossibile anche l’assunzione (in tutto o in parte) dei centomila precari, che era uno dei capisaldi della riforma. Il carattere politico dei risultati elettorali (e in essi l’insuccesso patito soprattutto dal Pd) contribuisce poi a rendere zoppicante il passo del governo sulla via per affrontare in modi adeguati le sempre più drammatiche questioni relative ai problemi del flusso di disperati dall’Africa, dal Medioriente e dal sud-est asiatico; quelle create dalle controversie finanziarie tra Unione Europea e Grecia, e quelle politico-economiche tra Unione e Russia, originate dalla crisi Russia Ucraina. Oltre a rinfocolare i contrasti interni al Pd, infatti, i risultati elettorali hanno accentuato le diffidenze tra il presidente del Consiglio e il Nuovo centrodestra; hanno spinto i 5 Stelle a tornare su posizioni oltranziste nel rifiuto di intese programmate col Pd; e hanno, in qualche modo, ricompattato Fi attorno a Berlusconi nella rinnovata prospettiva di “unione delle destre” in un cartello in grado di battere il Pd alle prossime elezioni politiche.
Come ciliegina sulla torta, infine, i contraccolpi politici provocati nel Pd dalle elezioni hanno reso incandescente la situazione politica e amministrativa a Roma, già deteriorata dagli scandali che hanno investito i gruppi di maggioranza e di opposizione (decimati da dimissioni e arresti), e dai comportamenti di un sindaco sulle cui capacità di essere all’altezza dell’incarico ha avanzato aperte riserve lo stesso presidente del Consiglio. Tutto questo a pochi mesi dall’inizio del giubileo, che richiede un’amministrazione al massimo dell’efficienza e dell’apprezzamento dei cittadini. Per far fronte alle decine di milioni di pellegrini che invaderanno la capitale, e perché l’avvenimento (anche per la personalità di papa Francesco) la porrà, più di quanto già non lo sia per ragioni storiche, al centro dell’attenzione mondiale.
I contraccolpi politici delle elezioni sul Pd e sul governo non devono però far dimenticare che dai loro risultati sono venuti anche altri, inequivocabili, segnali di un malessere diffuso nella società e pericoloso per le istituzioni democratiche. Tali sono infatti: 1) la metà degli aventi diritto al voto (23 milioni) che si sono astenuti; 2) le pesanti perdite patite (nelle regioni e nei comuni in cui si è votato tra fine maggio e metà giugno, rispetto alle elezioni europee del 2014) dal Pd (-1.518.024 voti), dal M5S (-890.408), da Fi (-629.275), mentre la Lega ne ha guadagnati 786.156.
Sono segnali chiarissimi del crescente disagio dei cittadini per come le loro esigenze e le loro aspirazioni vengono rappresentate e affrontate dai partiti, nella società e nelle istituzioni. Un disagio sicuramente accentuato in campagna elettorale dallo spettacolo desolante offerto dai partiti. In particolare quella per le regionali, dove non si è discusso di bilanci del passato e di programmi per il futuro. Ma si sono visti quasi esclusivamente scontri personalizzati e beceri tra candidati governatori espressi da squallide beghe interne ai partiti. Basta ricordare che il governatore uscente – del Pd – nelle Marche era il candidato di Fi. Purtroppo a questo punto resta solo da invocare che Iddio la mandi buona all’Italia.