Padre Salviano Massolini visse in congregazione circa sessant’anni e, raccontano i testimoni, fu sempre “lucido specchio delle più belle virtù. Iniziò la vita in convento con grande fervore e con fervore ancora maggiore la proseguì e la concluse”. Sessant’anni dunque vissuti in pienezza durante i quali Salviano insegnò filosofia e teologia ai giovani passionisti, fu maestro dei novizi, direttore degli studenti, e più volte superiore in varie comunità, consigliere e superiore provinciale.
Quando ormai le forze fisiche del tutto prosciugate, non gli consentivano di ricoprire ulteriormente ruoli di responsabilità, il superiore generale volle che Salviano, per le grandi benemerenze acquisite nel suo impegno a favore dei confratelli, conservasse il titolo di consigliere ad honorem con tutti gli annessi privilegi. Il significativo gesto feriva Salviano nella sua umiltà e venne accettato solo per obbedienza.
Nel lungo servizio ai confratelli brillò per la sua cultura filosofica e teologica, la sua amabilità e la sua prudenza. Umile e affabile, modesto e riservato, era stimato e benvoluto da tutti. Fedelissimo agli impegni comunitari, amante della preghiera, lo si vedeva spesso in lacrime quando meditava la passione del Signore o durante le celebrazioni liturgiche. Altruista e generoso, anche da superiore riservava per sé gli uffici più umili e pesanti. Chi lo incontrava nello svolgimento del ministero sacerdotale oppure in un fugace colloquio, conservava di lui l’incancellabile e affettuoso ricordo di una persona umanamente straordinaria e spiritualmente ricca.
Salviano era nato l’otto dicembre 1819 a Salci, suggestivo borgo nel comune di Città della Pieve (Perugia) oggi del tutto abbandonato. Il 24 maggio 1836 veste l’abito passionista nel noviziato del Monte Argentario (Grosseto) e il 25 maggio 1837 vi professa i voti religiosi. Ordinato sacerdote a Roma il 24 settembre 1842, inizia subito a svolgere quei compiti a lui assegnati dall’obbedienza dimorando in vari conventi della Toscana, del Lazio, delle Marche e dell’Umbria. Dal 1887 fino alla morte vive a Sant’Angelo in Pontano (Macerata), prima come superiore, e poi come consigliere provinciale.
Nel 1893 è finalmente libero da incarichi di responsabilità come da lui desiderato. Ora dedica tutto il tempo alla preghiera e all’accoglienza di quanti ricorrono a lui per il sacramento della riconciliazione e la direzione spirituale. Il 4 ottobre 1896 inizia di buon mattino ad ascoltare i numerosi penitenti; dopo molte ore in confessionale viene sorpreso da gravi e improvvisi problemi cardiaci; costretto a letto, non guarirà più. Paziente e sereno, senza mai un lamento, totalmente abbandonato in Dio, il successivo 21 ottobre conclude il suo cammino terreno.
Nella vita di Salviano vi sono due simpatici episodi che lo collegano a san Gabriele. Nell’ottobre del 1856, arrivato a Morrovalle da Recanati insieme ai suoi studenti, passa davanti all’aula dove un novizio sta ripetendo ad alta voce la meditazione del mattino. Catturato dalla voce del giovane, affascinato dalle sue belle riflessioni si ferma ad ascoltarlo estasiato e dice a se stesso: “Questo novizio durante l’anno di prova ha fatto passi da gigante”. Così pensando scivola via veloce, quasi vergognoso di essersi lasciato vincere dalla curiosità; si porta dentro però il desiderio di conoscere quel giovane. Appena possibile chiederà informazioni. Sgrana tanto di occhi quando il maestro gli dice che quel novizio è Gabriele arrivato da Spoleto soltanto da un mese.
Nei momenti di svago studenti e novizi familiarizzano. Gabriele stringe un patto con due di loro: ricordarsi reciprocamente ogni giorno nella preghiera. Gabriele è fedele all’impegno, ma in seguito viene colto da un dubbio. “È giusto che due studenti preghino per me e che sia solo io a pregare per loro due?”. Per la sua tranquillità e con il permesso del maestro padre Raffaele Ricci il 2 gennaio seguente scrive al direttore padre Salviano dicendogli tra l’altro: “Scrivo per un imbroglio fatto da me… Prego di avvisare i due studenti di volermi scusare se mi sono approfittato e ho abusato della loro pietà”. Salviano conserverà gelosamente fino alla morte la lunga lettera profumata di incantevole semplicità e di sorprendente delicatezza di coscienza. Rileggendola ricorderà con commozione quel giovane novizio che, giunto a Morrovalle solo da qualche settimana, aveva già fatto passi da gigante nelle vie di Dio.