“In questo momento – spiega lo stimato scienziato dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia già, già direttore della Sezione di Sismologia tettonofisica nonché grande esperto e studioso del gas Radon – esistono degli studi potenzialmente promettenti ma nessuno di questi studi ha avuto risultati concreti utilizzabili. Quindi chi fa previsioni in questo momento sull’evoluzione dell’attività sismica fa previsioni che non sono basati sulla scienza”.
La terra continua a tremare, non vuole più saperne di smettere. Ormai dallo scorso 24 agosto tra repliche e terremoti si è superata quota cinquantamila… Come dire, la precarietà che diventa quotidianità. Le popolazioni interessate più da vicino dal sisma, quelle di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo, vivono dunque sempre più con ansia questa sorta di stillicidio del tremore che, di fatto, sta svuotando centri storici e località dell’entroterra a favore della costa. Nelle scuole, poi, regna il caos più totale. Insegnanti alle prese con un programma da svolgere e un calendario sempre più stretto a causa dei tanti giorni di chiusura; alunni terrorizzati e con l’orecchio più indirizzato all’eventuale triplice suono della campanella che annuncia l’evacuazione che alle lezioni; presidi, sindaci e presidenti di Provincia che navigano a vista a causa di un assurdo rimbalzo di competenze circa la sicurezza degli istituti; genitori nel panico più totale pronti a manifestazioni e sit-in di protesta. Insomma, un quadro decisamente desolante a cui – tanto per non farci mancare niente – si aggiungono la lentezza e l’inaffidabilità della macchina politico-istituzionale le cui responsabilità in materia di sicurezza, e purtroppo non solo, sono più che mai evidenti. È tutto? Purtroppo no! In mezzo a questo bailamme c’è spazio, infatti, anche per i vari apprendisti stregoni che magari ispirati da un cambio di luna o da una mareggiata lanciano annunci apocalittici sfruttando i punti deboli del web. Una sorta di muschio mediatico tappezzante che tende a coprire gli spazi soffocando le altre voci e seminando paura e preoccupazione…
Ecco, allora, che abbiamo deciso di andare a Roma per ascoltare una voce “ufficiale”, quella di uno stimato rappresentante del mondo scientifico che da tempo studia questo subdolo nemico dalla forza distruttiva. Parliamo dello scienziato Antonio Piersanti, sismologo dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), già direttore della sezione di Sismologia tettonofisica nonché grande esperto e studioso del gas Radon. Con lui abbiamo fatto una lunga chiacchierata cercando di dare risposte a un momento così particolare e soprattutto ai tanti interrogativi e timori della gente. Viste allora la complessità dei temi e le dotte e articolate argomentazioni del nostro interlocutore, si è deciso di racchiudere il tutto in due pubblicazioni. La prima parte in questo numero di marzo e la seconda in quello di aprile. Ascoltiamo, dunque, cosa ha da dirci lo scienziato.
Cosa sta accadendo, Piersanti, nei territori del Centro Italia?
È in atto una delle sequenze sismiche più importanti degli ultimi decenni, una sequenza sismica che per quantità di energia rilasciata può essere comparata a quella dell’Irpinia del 1980 che culminò con un magnitudo tra 6.8 e 6.9 causando migliaia di vittime. Parliamo, quindi, di un fenomeno sismico estremamente rilevante e a cui forse l’Italia probabilmente non era più abituata.
Si tratta di un sequenza sismica che ha interessato un’area molto vasta…
Proprio così. L’area interessata, quella cioè dove tuttora avvengono repliche e terremoti che a oggi sono arrivati a ben più di 50 mila, ha una lunghezza, lungo la catena appenninica, maggiore di 70 chilometri. Sostanzialmente, quindi, interessa un territorio che comprende quattro regioni e purtroppo ha colpito e inflitto danni a una popolazione molto rilevante. Stiamo parlando di un fenomeno grande e di-struttivo ma nello stesso tempo tipico dell’Italia, un territorio ad altissima pericolosità sismica.
Hanno una correlazione gli eventi sismici che si sono susseguiti sino ad oggi dopo la scossa di magnitudo 6.0 verificatasi il 24 agosto 2016 tra i comuni di Accumoli e Arquata del Tronto?
Sì, la sequenza sismica si apre in pratica con una magnitudo 6 dello scorso 24 agosto passato alla storia come il terremoto di Amatrice. Da quel momento in poi tutto ciò che si è verificato fa parte di una stessa sequenza sismica. Le scosse non si sono concentrate in un unico luogo: hanno interessato la direttrice nord, parlo di Norcia o addirittura Visso e quella sud nei pressi di Campotosto. Ripeto, si tratta di un’unica sequenza sismica che verosimilmente ha coinvolto diversi sistemi di faglie ma che riguarda un’unica area sismo-genetica.
Si conosce il numero delle faglie presenti in queste zone e la loro lunghezza?
La questione delle faglie è molto delicata e riflette anche alcune particolarità nell’approccio con cui si studiano i terremoti. I terremoti sono un fenomeno che coinvolge discipline tipiche della fisica e della geologia. Sostan-zialmente il terremoto è una frattura all’interno della crosta terrestre e questa frattura si verifica perché si è concentrata una eccessiva quantità di energia dovuta ai moti tettonici all’interno della terra. Quando quest’energia supera la quantità che la roccia può sopportare avviene la frattura che, a sua volta, genera le onde sismiche che noi chiamiamo terremoto.
Ma queste fratture avvengono a caso all’interno della crosta terrestre?
No, perché ci sono delle zone che in qualche modo dopo che si sono rotte una volta, diventano zone di debolezze in cui è più facile che avvengano nuove rotture. Queste zone noi le chiamiamo faglie. È bene sottolineare, però, che non necessariamente un terremoto avviene sempre su una faglia preesistente, di solito è così però non c’è una certezza assoluta in quanto c’è sempre una prima volta in cui si rompe una nuova parte della crosta terrestre.
Quindi la conoscenza delle faglie non assicura la certezza di sapere dove avverranno futuri terremoti…
Esattamente. Inoltre i sistemi di faglia sono sempre complessi, ovviamente in tutto il mondo non solo nel nostro paese, però nella zona appenninica lo sono particolarmente. Noi conosciamo un numero molto elevato di faglie in questa zona ma non possiamo essere certi di conoscerle tutte. E poi la conoscenza delle faglie, come dicevo, non dà certezze assolute sugli eventi sismici che poi si verificheranno. Non è detto, infatti, che si rompano sempre le stesse faglie oppure allo stesso modo. A volte può rompersi una parte più grande a volte più piccola; dal mio punto di vista l’approccio più appropriato è parlare di volumi sismogenetici, cioè di aree dove l’energia, come in questo caso, ha raggiunto e superato la soglia in cui avvengono eventi sismici distruttivi. Quello che sappiamo per certo è che il fenomeno che ci sta interessando è ancora in evoluzione e ha coinvolto più di un sistema di faglie.
Cosa si intende per faglia attiva?
Una faglia che è capace di generare terremoti. Questo però – è bene sempre ricordarlo – in linea potenziale…, anche perché non tutte le aree di frattura all’interno della terra generano terremoti. Alcune infatti si muovono in maniera asismica, cioè non restano bloccate mentre si concentra l’energia e la liberano improvvisamente con un terremoto, ma si muovono lentamente, sempre in maniera discontinua ma più dolce. In realtà originano dei segnali che i sismometri sono in grado di rilevare ma non generano terremoti distruttivi.
È vero che se le faglie non superano i 25 chilometri non possono rilasciare un’energia superiore a 7,5 gradi?
Naturalmente c’è una correlazione. Quando si parla di terremoto è più opportuno parlare di frattura e di area di rottura che solitamente è associabile a una faglia. Ripeto: la faglia è preesistente, quello che genera il terremoto è la frattura che avviene in quel momento. Le dimensioni della frattura sono quelle che determinano l’energia liberata dal terremoto e l’energia liberata dal terremoto è quella che poi determina la magnitudo. Se si parla di una magnitudine intorno a 7.5, che è tra le più alte registrate in Italia e quindi siamo al limite dei terremoti possibili nel nostro Paese, diciamo che siamo abbondantemente sopra i 25 km. Ci troveremmo tra i 50 e i 100 km di estensione. Ovviamente non si può essere precisi al chilometro. Quelli che contano, comunque sono tre parametri: la lunghezza della frattura, la sua estensione in profondità e di quanto questa frattura si sposta, quello che si chiama lo slip lungo la faglia. Questi tre dati danno quello che si chiama momento sismico e cioè l’energia liberata dal terremoto. C’è una relazione tra loro ma non è totalmente rigida quindi non si può univocamente legare una lunghezza di faglia a un terremoto. Sicuramente possiamo dire che un terremoto 7.5 sarà generato da una frattura lunga intorno ai 100 km.
Ma se ogni terremoto aumenta il carico di energia sulla faglia adiacente non se ne esce più… In pratica ci troveremmo dinanzi a un effetto domino permanente…
L’effetto domino è un termine improprio ma ormai utilizzato dalla gran parte dei media. Noi preferiamo parlare di interazione tra faglie ma per far capire il tutto va bene lo stesso. Non parlerei di effetto domino in quanto siamo dinanzi a una conseguenza marginale in termini energetici.
Cioè?
Una frattura, quando si genera, comunica energia alle faglie preesistenti adiacenti ma parliamo di una parte minimale, diciamo sostanzialmente dell’ordine dell’1% rispetto all’energia che c’è bisogno per generare un terremoto in quelle faglie. Se però le faglie adiacenti sono già caricate dall’energia tettonica e quindi sono già vicine alla rottura possono allora dar vita al cosiddetto effetto domino. Per dirla in parole povere, se c’è un terremoto in un punto della crosta terrestre, i punti adiacenti possono dare luogo all’effetto domino solo se erano anche loro prossimi alla rottura. Magari il terremoto nei punti adiacenti arriva in concomitanza ma sarebbe comunque avvenuto lo stesso in poco tempo. L’effetto domino può anticipare o ritardare un terremoto di settimane, mesi, al massimo di qualche anno, ma non può assolutamente creare un terremoto dove comunque non ci sarebbe stato. Non sono i terremoti che generano altri terremoti, bensì i moti tettonici.
Anche se dalle sue dichiarazioni appare chiara la risposta, vorrei tornarci sopra in modo da sgomberare il campo da qualunque equivoco o fraintendimento: a oggi la comunità scientifica mondiale è in grado di prevedere un terremoto?
No, ed è assolutamente importante che la stessa comunità scientifica si convinca di ciò… Purtroppo, infatti, si tratta di una battaglia estremamente dura e difficile che in qualche modo ha anche frustrato l’intera comunità scientifica mondiale. C’è stato un periodo, i primi anni del fiorire della sismologia quantitativa, in cui si riteneva che l’obiettivo della previsione dei terremoti sarebbe stato raggiunto a breve. Negli anni 70 si era convinti che nell’arco di 10-15 anni si sarebbe arrivati a prevedere i terremoti. Poi, però, si è capito – e anche in maniera piuttosto traumatica – che il problema era molto più difficile di quello che si credeva e quindi si è avvertita una forte frustrazione. Tutto ciò, allora, in qualche modo ha fatto sì che quell’obiettivo si trasformasse in qualcosa di impossibile da raggiungere e questa convinzione permea ancora ampi settori della comunità scientifica.
Invece?
Secondo me è un errore, visto che noi dobbiamo ancora porci quell’obiettivo.
Ma parliamo di un obiettivo raggiungibile a breve o a lungo termine?
Sicuramente non a breve, però dobbiamo essere convinti che nel medio e lungo termine – secondo me più nel medio – si possono fare passi in avanti rispetto al nulla di oggi.
Come è possibile, allora, che la comunità scientifica annoveri gente che attraverso previsioni prive di un supporto scientifico genera effetti pesantissimi su una popolazione ridotta psicologicamente già allo stremo?
Immagino lei si riferisca ai “previsionisti” alla Giuliani… Io non voglio classificare questo tipo di persone non conoscendo la loro interiorità, non posso dire che lo facciano con atteggiamento malevolo… Certamente posso dire che sono affermazioni prive di un serio studio scientifico alle spalle. Ripeto, la scienza purtroppo ha dei limiti e in sismologia ci scontriamo in maniera evidentissima, direi quasi in maniera traumatica, con questi limiti che appartengono a tutto il mondo. In questo momento esistono studi potenzialmente promettenti ma nessuno di questi ha avuto risultati concreti utilizzabili. Quindi chi oggi fa previsioni sull’evoluzione dell’attività sismica fa previsioni che non sono basati sulla scienza. Forse glielo suggeriranno gli astri oppure qualche volto caro in sogno… Io non voglio caratterizzare negativamente queste persone, resta però il fatto che ciò che dicono non è scienza.
Alla luce di ciò, allora, in virtù di cosa la commissione Grandi rischi si lascia andare a previsioni “funeste” che di fatto, come si è visto, minano fortemente la stabilità psichica di una popolazione già atterrita da vari eventi calamitosi?
Lei mi sta chiedendo una valutazione non scientifica… Noi non possiamo prevedere i terremoti però sappiamo che quando c’è una frequenza sismica attiva che ha prodotto forti terremoti l’accadimento di altre forti scosse diventa più probabile. In pratica quello che voglio dire e che ormai tutti sanno è che la probabilità che accada una forte scossa nel territorio che va da Norcia a Campotosto non è la stessa di quanto possa accadere in Irpinia o a Città di Castello, ovviamente mi riferisco a questo momento. Nella zona in oggetto è più alta la probabilità. È altrettanto vero, però, che una probabilità più alta non significa assolutamente la certezza di nuove scosse più violente. Questa è una cosa che si sa da sempre.
Tra il dire e il fare però…
Purtroppo questo tipo di proposizioni, che hanno il loro fondamento scientifico e anche numerico, devono essere poi veicolate da organismi come la Grandi rischi che non è una istituzione puramente scientifica bensì di interfaccia tra la scienza, la società civile e gli enti preposti che poi devono provvedere agli atti di protezione civile. Il tutto, dunque, non può necessariamente avvenire tramite freddi numeri bensì attraverso proposizioni. E le proposizioni verbali si vanno poi a innescare in un contesto emotivo. Probabilmente le dichiarazioni della commissione Grandi rischi lette in maniera decontestualizzata non fanno altro che descrivere una situazione che tutti conoscono da tempo.
Suona come una difesa d’ufficio…
No, non è assolutamente così. Non sono e non voglio fare il difensore d’ufficio della Grande rischi, anche perché come nel caso della dichiarazione sull’effetto Vajont è arrivata una smentita o comunque una spiegazione da parte degli interessati. Voglio ricordare, comunque, che noi in Italia a livello scientifico siamo allo stesso livello di tutti gli altri paesi del mondo, ovviamente parlo dei paesi top in questo campo. E poi non ci possiamo dimenticare che in Italia nel 2009 c’è stato il doloroso terremoto dell’Aquila, con tutte le vicende giudiziarie seguite. Vicende che, al di là delle varie assoluzioni finali, hanno messo sotto accusa la sottovalutazione della situazione da parte degli istituti preposti… È chiaro, allora, che cose del genere possano riflettersi su comportamenti futuri…
Della serie meglio mettere le mani avanti…
Questo lo dice lei… Diciamo che è un modo di rispondere a una sollecitazione che c’è stata…
A mio avviso non sono giustificabili dichiarazioni del genere… Ho visto personalmente madri disperate con i figli universitari a L’Aquila, a pochi chilometri da Montereale, luogo dell’epicentro, impossibilitate a raggiungerli, a causa delle strade sotterrate dalla neve, e a contattarli vista l’assenza totale per giorni della rete telefonica… Non bisogna essere un uomo di scienza per capire che simili dichiarazioni possono gettare nel panico una vasta fetta di popolazione già ferita…
Posso capire che sulla cittadinanza quelle parole abbiano avuto degli effetti negativi…
(La seconda parte dell’intervista ad Antonio Piersanti sarà pubblicata nel prossimo numero di aprile)