DALL’USCITA DAL NUCLEARE IRANIANO AI DAZI CONTRO L’EUROPA

Uno degli esempi di quanto sia fallimentare una politica di imposizione unilaterale possiamo trovarlo nel caso del gasdotto Nord Stream 2, che alla fine dell’anno prossimo potrebbe raddoppiare il flusso del gas russo verso l’Europa, da 55 a 110 miliardi di metri cubi

Le paghiamo alla pompa di benzina le prime conseguenze della denuncia unilaterale, a metà dello scorso maggio, da parte degli Stati Uniti dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano stipulato nel 2015. Il petrolio che si avvia verso i cento dollari al barile, anche a causa della contemporanea crisi politica in Venezuela, è il risultato di una serie di decisioni unilaterali del presidente americano Donald Trump, che ha stracciato il patto sull’Iran firmato a suo tempo, dopo ben dodici anni di negoziati, dal predecessore Barack Obama. Il quale ha smentito le asserzioni di Trump, e le dubbie prove presentate da Israele di un Iran intento a costruire in segreto la bomba, affermando che Teheran è stata ai patti. Ha demolito – secondo l’ex presidente – le strutture di un reattore che avrebbe potuto produrre plutonio di qualità militare; ha ritirato due terzi delle sue centrifughe e le ha poste sotto sorveglianza internazionale; ha eliminato il 97 per cento del suo stock di uranio arricchito, quello cioè che serve alla fabbricazione degli ordigni atomici. L’intervento di Obama è stato confermato dall’Aiea (l’apposita Agenzia internazionale di controllo sul nucleare), che ha certificato come alcunché di irregolare sia emerso dalle ispezioni; la situazione è stata però ancora ulteriormente peggiorata dai provvedimenti minacciati e presi dagli Usa nei confronti di aziende, anche straniere, che continuino ad avere rapporti commerciali con Teheran, comprese quelle dei paesi alleati e dell’Unione Europea. Quest’ultima ha respinto, una volta tanto all’unanimità, le imposizioni e ha replicato ricorrendo a un regolamento del 1996 che nell’Unione impedisce abbiano effetto leggi approvate da un paese terzo. Sono state appunto molto dure le reazioni europee di fronte alla più grave crisi economica e diplomatica del dopoguerra scatenata da Washington nei confronti degli alleati occidentali. L’UE, insieme con gli altri contraenti dell’accordo nucleare, ha dichiarato non ricevibile la decisione americana, rassicurando l’Iran sulla continuazione dell’intesa e proteggendo le aziende europee anche attraverso una serie di garanzie offerte dalla Banca europea per gli investimenti. Quelli americani non sono provvedimenti punitivi di poco conto, considerando che, per quanto ci riguarda, l’Italia è impegnata con l’Iran per scambi commerciali che si aggirano sui 27-30 miliardi. Per la verità le pretese americane non si limitano a questo. A parte l’arroganza con cui alcuni ambasciatori Usa hanno avvertito per lettera o per messaggi e-mail i governi presso i quali sono accreditati che devono imporre alle loro aziende l’interruzione dei rapporti con l’Iran, c’è anche il problema, sempre deciso unilateralmente e “comunicato” agli interessati, dell’applicazione Usa di dazi sulle importazioni in particolare di acciaio e alluminio, che penalizzano le industrie europee, oltre che quelle canadesi e giapponesi, cioè dei principali alleati storici di Washington. L’UE replicherà con altre misure, ma nella consapevolezza che una guerra commerciale, come ha detto il presidente francese Emmanuel Macron,  non fa bene a nessuno.

È certo che gli Stati Uniti hanno potenti strumenti costrittivi di intervento, specialmente attraverso il controllo del Fondo monetario internazionale, anche se l’abuso sta conducendo da tempo Cina e Russia alla ricerca, oltre tutto in ragione del loro accresciuto potere economico e dello sviluppo delle reti commerciali, di sistemi di pagamento internazionale alternativi al dollaro; e non è detto che a questo non si sia attenti da parte europea, considerando il peso dell’euro negli scambi mondiali. Washington, del resto, sta perdendo – come ha riconosciuto la cancelliera Agela Merkel – il proprio ruolo di leadership a livello planetario, e lo sottolineano appunto le ultime mosse, sostanzialmente difensive, non tanto di “America prima di tutto”, quanto – così è stato osservato autorevolmente da esperti economici – di “America sola”.

Uno degli esempi di quanto sia fallimentare una politica di imposizione unilaterale possiamo trovarlo nel caso del gasdotto Nord Stream 2, che alla fine dell’anno prossimo potrebbe raddoppiare il flusso del gas russo verso l’Europa, da 55 a 110 miliardi di metri cubi. Un prodotto che costa il 30 per cento in meno di quello offerto dagli americani, che stanno esercitando ogni tipo di pressione per stornare le attuali scelte europee, orientate massicciamente verso il gas russo. Si ha il sospetto che provvedimenti come i dazi agli europei siano dettati anche dalla delusione per le mancate risposte al mercato energetico statunitense.