DALLA GERMANIA ALLA CATALOGNA SI MOLTIPLICANO LE CRISI

By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 30 Ottobre 2017

Le elezioni tedesche e austriache, la vicenda catalana inaugurano un autunno dagli esiti problematici. In Germania l’elemento positivo per l’Europa è dato, al di là dai risultati dei singoli partiti con l’insuccesso di cristiano-democratici e socialisti, dalla tenuta globale delle formazioni che si riferiscono alla costruzione europea. Il 13 per cento strappato dalla destra antieuropea di Alleanza per la Germania è giudicato insoddisfacente da chi si riprometteva un bottino molto più abbondante, ed esalta il restante 87 dei consensi  (sinistra compresa) a chi crede  nella UE e nella politica di collaborazione. Quale che sia la coalizione che governerà Berlino nella prossima legislatura – ci si attendono trattative  complicate -, gli   scostamenti dalla linea seguita sino a oggi non dovrebbero rivelarsi drammatici. Più complessa la situazione catalana. Non è sufficiente la quasi totalità del 40 per cento dei votanti favorevoli al sì per proclamare l’indipendenza; si tratta sempre di una minoranza, anche se consistente. Quello che accade nell’estremo nord della Spagna mediterranea è il prodotto di una pessima gestione politica, del governo centrale da una parte, degli indipendentisti dall’altra: incapaci, ambedue, di trovare il modo di raggiungere un accordo, come si è  fatto per i Paesi baschi. Crisi  alimentata oltretutto da ingiustificate violenze della polizia (di cui il potere si è tardivamente giustificato) su pacifici dimostranti e di cui si pagheranno le conseguenza nella difficoltà di riannodare il dialogo. Tanto più necessario in quanto ha cominciato a muoversi quella parte della società civile catalana unitaria, con manifestazioni e concerti di casseruole, che  è stata sino a oggi (forse colpevolmente) silenziosa; mentre la Chiesa – anche se più di quattrocento sacerdoti e religiosi si sono pronunciati per  l’indipendenza – tenta di comporre gli equilibri. La mediazione sembra necessaria e protagonisti sono chiamati a esserne il cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona, e l’autorevole abate di Monserrat, padre Josep Maria Soler. Questi aveva preso posizione, insieme con fra Octavi Vilà, l’abate dell’altro alto luogo della spiritualità catalana, il monastero di Poblet, con un appello al governo spagnolo e alla Generalitat dissidente, scrivendo: “Non è nostra intenzione, e nemmeno è nostro compito, prender parte a nulla che non sia la pace, il dialogo, la libertà di espressione democratica, la convivenza sociale e il rispetto dei diritti individuali e del nostro popolo”.  E d’altro canto  è noto che, ufficialmente, l’Unione Europea non apprezza le secessioni:  l’atteggiamento prudente tenuto sino a oggi da Bruxelles risponde a una logica di sostegno degli stati membri. Se non sarà la Chiesa, da qualche parte un mediatore  dovrà pur uscire, e l’Europa è il luogo dentro il quale si potranno raggiungere compromessi. Perché anche, bisogna sottolinearlo, le parti  sentono di appartenere a una realtà (l’Europa, appunto) che le trascende, il cui impegno potrebbe raffreddare una tensione che  non si sa dove possa condurre.

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