CRISTIANI INCONSAPEVOLI

By Luciano Verdone
Pubblicato il 5 Giugno 2022

Faccio benzina. Mi serve un bengalese che saluto cortesemente. L’ho notato da qualche tempo. Si chiama Moni e manifesta una tranquillità imperturbabile, tutta orientale. Dice di essere musulmano, di avere famiglia. Gli chiedo se la sua serenità deriva dalla preghiera. Confessa che, terminato il lavoro, dedica un tempo adeguato al dialogo con Dio, secondo la regola maomettana. Si rende conto che anche io sono religioso ed aggiunge una frase che trovo profonda: “Più seguo la mia religione, più rispetto le altre”. Temo di non aver capito e me la faccio ripetere. Mi convinco, sempre più, che esiste una dimensione spirituale, comune alle persone di profonda religiosità, a prescindere dalla loro fede specifica. Gli propongo di scambiarci, a vicenda, una benedizione in nome dell’unico Dio. Naturalmente, non dico a Moni che la visione del mondo del Corano è radicalmente diversa da quella ebraico-cristiana. Che per la Bibbia, Dio riflette sull’universo e sull’uomo la sua perfezione mentre, per l’Islam, solo Allah è buono: l’universo e l’uomo sono il “non essere”. Perché dirglielo? Lui, nella preghiera, s’incontra con Dio, comunque lo si chiami, estendendo un sentimento di ottimismo su uomini e cose…

A distanza di qualche ora, incontro un gruppo di giovani coppie. Non sono praticanti. Forse non credono neppure. Prendono però sul serio la famiglia, il lavoro. Seguono con dedizione i loro figli. S’incontrano spesso in momenti conviviali perché attribuiscono una particolare importanza all’amicizia. Mi domando se questa attenzione ai valori umani, naturali, socialmente costruttivi, anche critici… non è, a suo modo, anch’essa, una forma di religione. E mi chiedo se non pensasse proprio a questo il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, impiccato dai nazisti, quando affermava che l’uomo contemporaneo, giunto alla maggiore età, deve essere un cristiano “non-religioso”, con discernimento mondano e adulto della realtà. Deve vivere fino in fondo la propria vita, come qualcosa che possiede un senso compiuto autonomo, impegnandosi per il bene proprio e degli altri.

Una provocazione. Nella Bibbia è scritto che “Dio è amore”. Questa è l’idea più alta, più tipica, del Cristianesimo. Ma, se capovolgiamo la frase e diciamo che “l’amore è Dio”, noi affermiamo che tutto ciò che è compiuto da noi, in modo buono, a vantaggio degli altri uomini e di tutti gli esseri esistenti, è di per se stesso divino e religioso. Anche Agostino scriveva: “Cammina attraverso l’uomo e giungerai a Dio”. Il divino dunque non è prerogativa di una parte dell’umanità ma una categoria universale alla quale ogni uomo di buona volontà può accedere.

Riconosciamolo. L’uomo occidentale, oggi, manca del sentimento di eternità. Sembra risolvere tutto nella razionalità, nella tecnica, nell’esperienza terrena. Mi chiedo come possano giudicarci gli orientali, presenti tra noi. Loro, con gli occhi sempre bassi di fronte al mistero del mondo, noi agnostici, spregiatori del divino, bestemmiatori… Sarà per questo che quando s’imbattono in un occidentale che prega e che medita, lo guardano con meraviglia, con molto rispetto…

A questo punto, credo sia importante ammettere due cose. Primo, che ogni uomo, a qualunque confessione religiosa appartenga, può pervenire, attraverso l’orazione, a quella che lo psicologo Abraham Maslow chiama “esperienza suprema”. Essa consiste in una forma di consapevolezza unitaria, in un timore reverenziale verso un essere sovrumano, nel sentirsi in sinergia con la specie umana ed il cosmo. Nel sentimento della nostra unicità e trascendenza rispetto a noi stessi ed ai nostri problemi. Secondo, che anche l’uomo occidentale, così sospettoso verso il Dio della tradizione, può possedere una spiritualità che trasforma, in qualche modo, l’umano in divino.

La religione ha tanti volti e molti uomini, senza loro colpa, non conoscono la strada maestra che conduce a Dio: Gesù Cristo. Per essi, sarà infinitamente bello incontrarlo nel giorno eterno.

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