Corretti all’ultimo momento i bilanci catastrofici

nel mondo
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 31 Gennaio 2016

Non è andato poi tutto male. In una specie di soprassalto di ottimismo dell’ultimo momento, un 2015 generalmente considerato dall’opinione pubblica con il bollino nero ha registrato, in fine annata, una serie di bilanci che lo hanno parzialmente riabilitato. Non sono opinioni da poco: corrono, anche se tardive, su pubblicazioni di grande prestigio, di ogni continente e paese, specialmente in America e in Europa, contaminano giornali in genere poco indulgenti a visioni positive dell’orizzonte internazionale, si appoggiano ad avvenimenti che forse sono restati in ombra rispetto all’impatto catastrofico di altri.

Ha contribuito in parte l’esito, in dicembre, della conferenza sul clima: l’accordo per una gestione della natura improntata a maggiore saggezza in una prospettiva che riguarda la salute di tutti. I rappresentanti di 193 paesi hanno dato prova di comune ragionevolezza proiettando il mondo in una dimensione di speranza. Una speranza che, del resto, è dimostrata da altri numeri: nel 2015 il 91% della popolazione ha accesso all’acqua potabile, contro il 77% del 1990; le aspettative di vita, da allora, sono salite da 65,3 a 71 anni; le vittime della fame, che erano 1010 milioni nel 1990, diventate 961 nel 2004, sono ulteriormente scese a 795 milioni, così come la mortalità infantile dal 12,7% è arrivata al 5,9 %.

è vero che persistono, come nell’insieme del Medio Oriente, molte tensioni, anche se la spinta offensiva del terrorismo islamista è in parte esaurita; a qualcuna di quelle tensioni si è posto rimedio, come per esempio con l’accordo sul nucleare iraniano – potenziale innesco di una guerra -, e qua e là con gesti di ritrovata o possibile pacificazione. è avvenuto con la fine del contenzioso fra gli Stati Uniti e Cuba e la riapertura delle rispettive ambasciate, dopo 55 anni di scontri (una invasione mancata, un rischio di guerra mondiale), anche per merito della mediazione della santa sede; con l’accordo fra governo e ribelli in Colombia, a conclusione di una  guerra civile lunga mezzo secolo; con la ritrovata democrazia in alcuni paesi, fra i quali la Birmania; con alcune strette di mano, che possono anticipare climi più distesi, fra Cina e Taiwan, fra India e Pakistan.

Anche l’Europa ha avuto i suoi problemi e, in qualche modo, li ha risolti, con il rientro dell’acuta crisi greca e un inizio di ripresa economica. E se non si è trovata la soluzione alla questione dei migranti (troppi egoismi circolano ancora nel vecchio continente), non è però possibile ignorare un fenomeno che riguarda il cuore caldo della gente: l’accoglienza ai profughi, che si esprime in modi generosi e diversi nelle differenti realtà, scavalcando le strette ragioni di stato e talvolta le stesse leggi. Non a caso la cancelliera tedesca Angela Merkel è diventata un simbolo (le è stata dedicata la “copertina dell’anno” della rivista americana Time) dell’apertura di speranza ai disperati in fuga. E fa parte di questa categoria la lista dei filantropi che si sta allungando, da Bill e Melinda Gates a Warren Buffet, Sean Parker, Nicholas Woodman, Jan Koum, e ora a Mark e Chan Zuckenberg, che hanno destinato 45 miliardi di dollari a “promuovere l’uguaglianza per i figli della prossima generazione”.

E infine: l’epidemia di ebola è stata debellata in Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia, così come sono partite nuove terapie per eliminare quanto prima la tubercolosi. Forse ci si attende qualcosa di più dalla generosità e dall’intelligenza umana. Bisognerebbe imparare da papa Francesco, che nell’ anno trascorso ha seminato il proprio messaggio in tante parti del mondo e che sempre predica e invoca la pace, essa, sì, soluzione dei problemi. E non a caso gli è stato attribuito il Premio Carlomagno, per il suo servizio alla pace e all’Europa.

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