Carnevale vecchio e pazzo s’è venduto il materasso per comprare pane, vino, tarallucci e cotechino. E mangiando a crepapelle la montagna di frittelle gli è cresciuto un gran pancione che somiglia a un pallone. Beve e beve e all’improvviso gli diventa rosso il viso, poi gli scoppia anche la pancia mentre ancora mangia, mangia… Così muore il Carnevale e gli fanno il funerale, dalla polvere era nato ed in polvere è tornato. (Gabriele d’Annunzio)
Febbraio corto e freddo si fa perdonare perché è il mese in cui si festeggia il Carnevale, quest’anno cede la chiusura, il martedì grasso, a Marzo il “mese pazzerello”. Periodo caratterizzato dal “dolcetto o scherzetto?”, anche se poi non sempre l’uno esclude l’altro. Fin dall’antichità è considerato un “tempo speciale” di capovolgimenti ed esagerazioni, soprattutto a tavola. Si mangiano a crepapelle leccornie per lo più fritte. Una tempesta di sapori zuccherini tradizionali a cui segue la provvidenziale quiete della Quaresima, periodo di morigeratezza a tutto vantaggio di corpo e spirito, così da evitare la sorte toccata allo scostumato carnevale dannunziano.
Tra i dolci abruzzesi che si gustano tra “mascherine & coriandoli” troviamo: le frappe (chiacchere), le zeppole farcite con crema pasticcera e un’amarena sciroppata, i mignozzoli (castagnole) con ricotta di pecora, gli amaretti dal sapore inconfondibile, le pizzelle (ferratelle), i ravioli dolci teramani serviti con un sugo di pomodoro leggero o con zucchero aromatizzato dalla cannella. Tutti squisiti sudditi della mielosa regina delle bontà carnevalesche: la cicerchiata, la cui ricetta può presentare varianti sia a livello di ingredienti che di modalità di realizzazione e finanche di forma. La specialità color oro, fragrante, delicata e profumata è riportata sull’elenco delle tipicità della regione Abruzzo redatto dal ministero delle Politiche Agricole e Alimentari. Inserita, quindi, nella cultura alimentare dell’intero territorio, la cicerchiata, in particolare, si è affermata nelle zone dove storicamente si pratica l’apicoltura, vedi l’area del fiume Sangro.
Le “cicerchie”, ovvero le palline di pasta fritta dorata così chiamate per la rassomiglianza con il legume, trovano nel miele un dolcissimo e straordinario collante che le unisce in un mono blocco a forma di ciambella. Sull’Atlante dei prodotti tradizionali d’Abruzzo, redatto dall’Arssa, viene riportata nel dettaglio la ricetta. Tra gli ingredienti per la pasta: farina tipo “00” lavorata a fontana, a cui si uniscono uova, olio extravergine d’oliva, zucchero e vino bianco secco. Ottenuta una pasta omogenea e soda, si lascia riposare. Dopodiché dalla massa si prelevano alcuni pezzi al fine di ottenere una sorta di spaghettone del diametro di una matita che a sua volta viene tagliato in pezzettini a loro volta arrotolati in palline. Queste ultime si mettono a friggere in abbondante olio di oliva. In una capiente padella si caramella il miele e zucchero in pari quantità, a cui si aggiunge un cucchiaio di olio di oliva. Quando l’amalgama ha raggiunto una bella doratura si uniscono le palline scolate, si mescola velocemente ma accuratamente utilizzando un cucchiaio di legno e si pone su un piatto di portata procedendo immediatamente a dare forma al composto dopo aver bagnato le mani in acqua fredda. A questo punto si procede al tocco finale, cioè la decorazione colorata e sfiziosa della superficie superiore con mandorle tostate e triturate, o con piccoli confetti multicolori che richiamano i coriandoli di carta. La cicerchiata è un dolce simbolo che ben incarna la gioiosa atmosfera del passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile, snodo cruciale ai tempi della civiltà agropastorale (me-no oggigiorno) che quindi meritava un’adeguata sottolineatura con cibi succulenti e manicaretti vari, tra balli e schiamazzi prima del silenzio e dell’astinenza in preparazione alla Pasqua di Risurrezione.