CONSEGNATO ALLA CROCE
Gli evangelisti riportano versioni diverse sul modo in cui il procuratore Ponzio Pilato è arrivato a condannare a morte Gesù. Il racconto di Matteo è il più elaborato dopo quello di Giovanni. Accentua in modo drammatico la lacerazione del rifiuto. Dà molta importanza alla scelta di Barabba e al paradosso che due pagani, Pilato e sua moglie, difendono Gesù mentre i suoi lo condannano. Mette in risalto lo spergiuro con cui i Giudei si assumono la responsabilità del sangue di Gesù. Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli, 27,25. Scelta fatale che manda in frantumi l’alleanza. Dio è stato fedele alla promessa mandando il salvatore, ma i capi del suo popolo e di quel tempo lo hanno rifiutato. L’offerta passa ad un nuovo popolo. Dal racconto traspare la polemica della comunità di Matteo col rigurgito del giudaismo farisaico della fine del primo secolo, ma anche l’ammonimento ai cristiani: coloro che sono considerati lontani potrebbero essere più vicini dei vicini. A Pilato non resta che consegnare Gesù ai soldati per la crocifissione. Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso, 27,26.
Marco se la cava con poche righe. Tutto è più sbrigativo, a scatti e passaggi bruschi secondo il suo stile. Domanda, risposta, silenzio di Gesù, scelta di Barabba, condanna alla croce. Pilato è sicuro dell’innocenza di Gesù, ma non fa niente per liberarlo. Cede subito per paura di complicazioni. Gesù rimane senza sostegno, rifiutato da tutti: capi dei giudei e dei romani, popolo, discepoli. Lo consegnò perché fosse crocifisso, 15,15.
Luca attenua le brutte figure di tutti e accentua la splendida riuscita di Gesù. Egli non può essere abbandonato da tutti, perché l’evangelista vuole salvare il rapporto tra maestro e discepolo. Nessuna tinta violenta, sfumata la contrapposizione con Barabba, silenzio sulla parodia del rifiuto della regalità, agitazione di Pilato per affermare l’integrità di Gesù. Ma questa non è merito di Pilato. Egli fa molto a parole ma poco nei fatti. È responsabile del rifiuto come gli altri. Luca non osa neppure nominare la croce. Pilato decise che la loro richiesta fosse eseguita, e abbandonò Gesù alla loro volontà, 23,24-25. I due poli contrastanti sono l’innocenza di Gesù e l’enormità del rifiuto.
Il ricco resoconto di Giovanni ci ha guidato nei meandri delle implicazioni giuridiche del mistero, grazie alla partecipazione di Gesù al dibattimento. Pilato interroga, curioso e inquieto. Gesù risponde con la potenza verbale di tutto il resto del Vangelo. Talvolta non è chiaro chi sia sotto processo, se Gesù o Pilato. Non è Gesù che ha paura o è nervoso e si agita, ma Pilato. Lui è sfidato a passare dalla parte della verità ed è invitato a capire che il suo potere è importante ma viene dall’alto, significa responsabilità e servizio, non arbitrio.
In Giovanni, Pilato fa la migliore figura dei quattro racconti. Compie gesti sbagliati e altri corretti, non ha la maggiore colpa, ma non fa l’essenziale: rischiare tutto per la verità. Ottiene il successo di strappare agli Ebrei un’improbabile dichiarazione di sudditanza a Cesare, ma non quello di essere coerente con la propria coscienza. Lo consegnò loro perché fosse crocifisso, 19,16, che dovrebbe implicare la formulazione giuridica della sentenza: Ibis ad crucem, andrai alla croce.
Su tutto campeggia Gesù, al centro del tribunale. Su di lui si abbatte il rifiuto universale, ma senza travolgerlo. È l’uomo, il re, la verità, perciò anche il giudice. Nessun rifiuto della verità può distruggere la verità. Chi la rifiuta pronuncia la propria condanna, soprattutto perché rifiuta l’amore.
Colpisce l’ingiusta condanna di Gesù. Ma l’assurdità di giudicare e condannare gli altri è oggi ingigantita, specialmente nelle parole sia pronunciate che digitalizzate. Si può sempre leggere la storia alla luce della Passione di Gesù.