COMBATTIAMO SERIAMENTE IL DISAGIO SOCIALE

Se non si attuano politiche di giusta  redistribuzione della ricchezza le conseguenze saranno inprevedibili La povertà è una realtà. In Abruzzo 140 mila persone (l’11,2% della popolazione) hanno varcato quel confine che rende ostica l’esistenza. Si tratta di persone senza alcun introito da fonti di lavoro o insufficiente per soddisfare le esigenze primarie di una famiglia. I dati sono dell’Istat e descrivono l’Abruzzo in linea con la media nazionale (11,5%), ma superiore alle regioni del Centro-Nord. Tra le regioni confinanti le Marche stanno notevolmente meglio con il 7,6% della popolazione che rientra nella soglia di povertà, mentre a sud il Molise raddoppia quasi il livello della nostra regione.

Non occorrono altre conferme statistiche, dunque, per far scattare l’allarme sociale. Un allarme che già da diversi anni avrebbe dovuto indurre i nostri governanti ad adottare politiche di sostegno in grado di arginare questa deriva. Invece, si è atteso troppo: solo in queste settimane si è cominciato a parlare di reddito di inclusione, lo strumento messo in campo dal governo con la legge delega. La povertà si è cronicizzata e allunga i tentacoli verso il ceto medio erodendone, sempre più velocemente, la propensione al risparmio, ma anche al consumo. Secondo il Cresa (Istituto di ricerca delle Camere di Commercio) nel periodo marzo 2014-febbraio 2015 le famiglie abruzzesi hanno speso in media 2.049 euro per i consumi, decisamente più basso di quello medio nazionale (2.488). Rispetto alla precedente indagine Cresa (2009-2010) la spesa per i consumi in regione è diminuita del 10,5% (Istat Abruzzo: -11,9%; Istat Italia: +1,9%).

Che cosa hanno tagliato gli abruzzesi? Le scelte delle famiglie, in linea con una tradizione propria dell’Italia meridionale, mostrano la preferenza a impiegare risorse per la casa e l’alimentazione e a risparmiare, da una parte, su alcune voci in qualche misura comprimibili (abbigliamento) e, dall’altra, su alcune spese superflue (vacanze). Si rinuncia anche alle spese per le comunicazioni e il tempo libero. Insomma, famiglie immerse nel contesto della società dei consumi di massa, ma che vivono un’ inarrestabile riduzione dei consumi, anche essenziali. Attenzione, la cosa riguarda nuclei famigliari che non hanno valicato la soglia della povertà, ma che potrebbero trovarsi in questa condizione tra non molto tempo in considerazione della staticità economica del Paese. Non ci sono segnali che possano indurci a pensare a un’inversione di tendenza, a una riduzione dell’enorme platea di nuovi poveri che, di statistica in statistica, siamo costretti a registrare. Numeri implacabili che ci raccontano anche un’altra storia: quella dei ricchi che diventano sempre più ricchi. Del lusso elevato a sistema di vita; dello sciupio vistoso come elemento di status sociale; dei pochi che detengono gran parte della ricchezza del mondo, dell’Italia e dell’Abruzzo. Il punto è tutto qui: se non si riesce a riequilibrare la distribuzione della ricchezza; se non si progettano e attuano politiche di più equa redistribuzione delle risorse, il disagio sociale è destinato a crescere. Le conseguenze? Imprevedibili.