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Parleremmo volentieri di ciclismo, questa volta, considerando che marzo ci riporta alla mente le grandi classiche d’antan, quelle che davano il via a una stagione che sul primo frusciare di ruote e pedivelle costruiva le premesse di un’annata di fatiche e trionfi, di fiori e traguardi, di miss e “ciao, mamma!”. Ma di quel ciclismo abbiamo, ahinoi, perso le tracce, per colpa di quanti hanno trasformato lo sport, questo sport in particolare, in una fonte di intrighi, di tossine, di raggiri, di illeciti sportivi non meno che etici. Il peccato più grave è quello di togliere ai giovani la speranza, sia pure quella effimera di un possibile cursus di vittorie sportive. Con quale coraggio – ci confidava un tecnico – incito i miei giovani atleti al sacrificio di una dieta, di un allenamento, di una rinuncia, quando le cronache riferiscono degli imbrogli dei dilettanti toscani:…dilettanti, capito!? E allora che devo pensare dei professionisti?”.
L’inchiesta che ha scoperchiato il vaso di Pandora di una situazione che si teme molto ramificata, era partita dalle indagini successive alla morte lo scorso anno di un ciclista dilettante russo, e ha appurato che la somministrazione delle sostanze proibite avveniva nel ritiro della squadra, a Capannori (Lucca). Non bastano, evidentemente, le frequenti “sorprese” degli organismi vigilanti, perché il doping è di difficile sradicamento se la mentalità vincente, per così dire, è quella di portare comunque a casa il risultato “costi quel che costi”. Per non deludere la parte buona del ciclismo (che di parti buone ne è pieno, altro che) ricordiamo che la stagione si presenta con un ricco e variegato ventaglio di appuntamenti, di cui la Milano-Sanremo è, e continua a essere, il “vernissage” per eccellenza, ancorché la Parigi-Nizza e la Tirreno-Adriatico ne insidino ormai da tempo questa etichetta.