CI STIAMO MANGIANDO IL PIANETA…

la denuncia di Richard Oppenlander
By Gino Consorti
Pubblicato il 30 Settembre 2017

 

“Per produrre un chilo di carne bovina – sottolinea il noto scrittore e ricercatore da oltre quarant’anni impegnato a migliorare la salute del nostro pianeta  – occorrono circa 15 mila litri di acqua…, mentre il 70 per cento delle foreste pluviali è stato abbattuto o bruciato per lasciare sempre più spazio agli allevamenti intensivi…”

“Ci vengono suggerite buone pratiche ecologiche quotidiane – la raccolta differenziata, un impiego domestico moderato di acqua, l’acquisto di lampadine a basso consumo, l’uso della bicicletta e dei mezzi pubblici -, ma nessuno ci dice con chiarezza che il fattore più devastante per l’ambiente in cui viviamo non sono le automobili o le grandi fabbriche bensì il nostro regime alimentare”. La denuncia è di quelle che fanno rumore. Tanto rumore. Un atto di accusa contro l’industria della carne e del pesce e le nostre abitudini alimentari. A firmarla è un volto noto a livello internazionale per quanto concerne i temi dell’alimentazione e della sostenibilità ambientale. Parliamo di Richard Oppenlander, scrittore, ricercatore, docente internazionale e consulente per la sostenibilità, da oltre quarant’anni impegnato in una instancabile attività di studio e informazione. Un punto di riferimento per tantissimi lettori e per quanti hanno a cuore le sorti del pianeta. E dei suoi abitanti… Le sue ricerche e le sue conferenze pubbliche negli Stati Uniti sono state fonte importante di ispirazione per Kip Andersen e Keegan Kuhn, gli autori di Cowspiracy, l’incredibile documentario che a oggi  rappresenta la sfida più forte lanciata al movimento ambientalista. Ovviamente la sua attività fatta di denunce penetranti e circostanziate ha inevitabilmente messo “sul piede di guerra” un bel gruppo di persone, di categorie, di associazioni, di industrie. In particolare lo accusano di non avere autorevolezza per affrontare simili argomenti, avendo appesa al muro una laurea in Odontoiatria… Sta di fatto, però, che i suoi scritti e le sue ricerche sulle nostre scelte alimentari e le ripercussioni sull’ambiente, la biodiversità, il riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la fame nel mondo e la crudeltà inerente a tutti i tipi allevamento animale hanno raccolto e raccolgono grandissimi successi e premi, tra i quali il Premio Montaigne, l’International Book Awards e il Green Book Festival Award. È stato inoltre relatore al Parlamento europeo e ha tenuto centinaia di conferenze e workshop in numerosi college, università e aziende sul tema della responsabilità delle scelte alimentari. Vive con la sua famiglia a Lawton (Michigan)

L’ultimo lavoro mandato il libreria s’intitola Regime Alimentare (Chiarelettere, pp.219, euro 16,00). Un libro politico, ricco di dati, che invita a un consumo alimentare più consapevole. Sfogliamo allora insieme all’autore le pagine di quello che si annuncia un altro best seller.

Come presenterebbe, in poche righe, il suo libro frutto di una ricerca durata due anni…?

Un lavoro che accende la luce sulle nostre abitudini alimentari e sul modo in cui influiscono sulla nostra salute e sulla sostenibi­lità del pianeta.

Quindi non uno dei tanti saggi sulla nutrizione…

Assolutamente no, l’obiettivo è sconfiggere l’ignoranza di comodo che circonda questo problema e indicare le possibili vie d’uscita. Regime alimentare si differenzia perché per la prima volta dà spazio alla questione più urgente e spinosa dell’esau­rimento delle risorse indotto dalle nostre abitudini alimentari.

Mercato, politica, interessi economici: cosa influenza di più lo stato dell’industria alimentare?

Purtroppo una visione miope ed egoistica ha generato un’industria alimentare che, oltre a non tenere in nessun conto la salute degli uomini e dell’ambiente, è diventata talmen­te preponderante da oscurare, per il complesso sovrapporsi di grossi interessi affaristici e influenze politiche, mediatiche, sociali e culturali, questioni cruciali come la provenienza dei prodotti e il loro impatto sulla salute del pianeta. È molto raro, ad esempio, che si scelga di acquistare un alimento in base al luogo, alle ragioni, alle modalità e alle materie prime con cui è stato prodotto, o in considerazione del suo impatto ambientale.

Invece…?

Sarebbe molto importante conoscere la vera origine di ciò che mangiamo e il modo in cui è arrivato nel nostro piatto.

Ad esempio cosa dire di una bella bistecca…?

Tutti noi alleviamo, diamo da bere e da mangiare, uccidiamo e ingeriamo oltre 70 miliardi di animali ogni anno, vale a dire dieci volte l’intera popolazione mondiale. Tutti questi animali usano e consumano le risorse rinnovabili e non rinnovabili del pianeta, ovvero cibo, acqua, suolo, aria, carburanti fossili o altre fonti energetiche che potrebbero o dovrebbero essere destinate a noi. Abbiamo innescato un meccanismo perverso – per cui alleviamo sempre più animali che consumano sempre più risorse e rilasciano quantità sempre più esorbitanti di rifiuti e inquinanti provocando alla lunga un preoccupante cambiamento climatico – che si ripete ogni anno uguale, quando non peggio.

In effetti scorrendo il libro vengono fuori dei numeri pazzeschi…

Allevare animali per ammazzarli e mangiarli è un’attività che richiede un impiego massiccio di suolo, acqua, cibo ed energia. Per allevare 70 miliardi di animali all’anno, l’industria zootecnica destina vaste aree a stalle, recinti, pascoli e piantagioni di foraggio. Negli Stati Uniti quasi l’80 per cento del suolo destinato a uso agricolo è a vario titolo impiegato per l’allevamento di animali per fini alimentari. Si tratta della metà dell’intero territorio del paese. Inoltre più di 100 milioni di ettari di foresta sono già andati in fumo per fare spazio alla coltivazione di foraggio per il bestiame. Gli allevamenti occupano oltre il 30 per cento della superficie terrestre e il 33 per cento del suolo agricolo è destinato alla coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm) per il loro sostentamento. Si può dire, dunque, che una parte cospicua del suolo del pianeta è destinata ad allevare animali che uccideremo per mangiare.

Sempre più spesso si sente parlare di depauperamento globale. Esattamente a cosa ci si riferisce?

È la perdita delle risorse rinnovabili e non rin­novabili della Terra. A questo punto, allora, vale la pena soffermarsi sul concetto di risorsa “rinnovabile”. L’acqua, per esempio, è comunemente considerata una risorsa rinnovabile, eppure parte delle fonti idriche cui attingiamo ogni giorno hanno impiegato millenni per formarsi. Lo stesso vale per gli alberi della foresta amazzonica (e i relativi ecosistemi): hanno impiega­to secoli per crescere. Com’è possibile, dunque, considerare “rinnovabili” queste risorse? Sarebbe più corretto definire “non rinnovabili” tutte le risorse che, una volta distrutte, non avremo la possibilità di vedere rigenerate nel corso della nostra vita. Tra l’altro nelle foreste tropicali sono state scoperte oltre duemila piante dalle virtù antitumorali. Tut­ti i botanici concordano sul fatto che ne esistono migliaia ancora da scoprire, ma che ogni giorno molte di quelle conosciute vanno perdute a causa del disboscamento perpetrato per soddisfare la domanda di carne. Ricordo, a proposito, che tra le sostanze curative provenienti dalle foreste pluviali troviamo il curaro (miorilassante usato in chirurgia); la diosgenina (usata per la contraccezione, la cura dell’artrite e dell’asma); la ouabaina (cardiotonico); la chinina (contro la malaria e la polmonite); la emetina (contro la bronchite e la dissenteria);  la vincristina (per la cura del linfoma di Hodgkin, delle leucemie e di altre forme di tumore).

Tornando al cibo che consumiamo per mantenerci, cita dati allarmanti sulla relazione acqua e produzione di carne…

Purtroppo è così. Per produrre un chilo di carne bovina occorrono circa 15 mila litri di acqua…, mentre il 70 per cento delle foreste pluviali è stato abbattuto o bruciato per lasciare sempre più spazio agli allevamenti intensivi.  È risaputo che ognuno di noi ha bisogno di sei-otto bicchieri di acqua al giorno per mantenersi idratato e in salute. Ma sapevate che, per sopravvivere, una mucca ha bisogno di 110 litri e un maiale di 80 litri di acqua al giorno? Un quantitativo fino a sessanta volte maggiore rispetto a quello necessario a un essere umano. E questo senza contare l’acqua impiegata per lavare le aree in cui questi animali vivono o quella usata durante la macellazione. E con ciò?, direte voi. Ebbene, perché mai dovremmo dare sessanta volta l’acqua che beviamo in un giorno ai maiali, alle mucche o a qualsiasi altro animale che poi fra un anno uccideremo per mangiarne dei pezzi, che tra l’altro nuocciono alla nostra salute? Non dimentichiamo che gran parte dell’acqua necessaria per coltivare i mangimi, dissetare gli animali o macellarli, nella maggior parte dei casi, non è rinnovabile nell’arco di una vita umana.

Lei sulla carne picchia duro…

Non è certo un mistero che la carne, i latticini e altri cibi di origine animale danneggino la salute. Questa volta la mia opinione non c’entra: è ormai assodato che la carne faccia male, e c’è una vasta letteratura scientifica a provarlo. Inoltre diverse organizzazioni sanitarie, come la American Dietetic Association, la American Cancer Society, la American Heart Asso­ciation, il Physicians Committee for Responsible Medicine, per citare solo quelle americane, ricono­scono i vantaggi e i benefici per la salute di una dieta vegetariana e si avvalgono di numerosi dati a riprova di ciò.

Ad esempio?

Al primo posto, quando si parla di salute, ci sono le malattie cardiovascolari – la causa numero uno di morte negli Stati Uniti -, responsabili di un milione di infarti e di cinquecentomila decessi ogni anno. Secondo molti studi, chi segue un’alimentazione vegana per tutta la vita ha il 60 per cento di possi­bilità in meno di morire per una malattia cardiaca. Secondo la American Dietetic Association una dieta vegetariana è in grado di ridurre il rischio di molti disturbi cronici e malattie in aggiunta a quelle car­diovascolari, tra cui il cancro, l’obesità, l’ipertensione e il diabete. Inoltre le diete vegetariane com­portano una serie di vantaggi nutrizionali, tra cui livelli più bassi di grassi saturi e colesterolo, nonché livelli più alti di fibre, magnesio, potassio, acido folico e antiossidanti, come vitamina C, vitamina E e sostanze fitochimiche. Oltre a un ridotto tasso di mortalità per malattie cardiovascolari, i vegetariani hanno livelli inferiori di colesterolo nel sangue, una pressione sanguigna più bassa e una minore inciden­za di diabete di tipo 2 e di cancro alla prostata e al colon. Oggi è risaputo che la dieta vegetariana può persino contribuire a rendere “reversibile” il danno cardiaco da infarto.

Ma davanti a certe cifre e a una vasta e autorevole letteratura scientifica, come mai a suo avviso la gran parte delle persone continua a nutrirsi di carne non curandosi minimamente di modificare le scelte alimentari?

Intanto perché la dannosità di determinati cibi continua a essere taciuta o occultata inopinatamente perché ritenuta controversa e pericolosa, soprattutto da quelle potenti industrie e multinazionali che hanno il potere di negarla o di rendere la vita difficile a chiunque tenti di parlarne. E poi perché la maggior parte di noi non crede, o si rifiuta di credere, che le polpette della mamma o della nonna facciano davvero male e che mangiandole si possa incorrere in tutte quelle malattie debilitanti che abbiamo detto. Ma se voglia­mo essere onesti dobbiamo riconoscere che proprio quelle polpette (e altri alimenti di origine animale), a lungo andare, sono state una delle principali cause di morte delle nostre nonne.

A proposito di convinzioni, lei parlando del consumo di latticini nega gli effetti benefici sulle nostre ossa…

In effetti è un tema intorno al quale abbonda la disinformazione. Nonostante quello che, a colpi di campagne multimilionarie, vorrebbe farci credere l’industria casearia, il latte e i latticini non “rafforzano le ossa” e non prevengono l’osteoporosi. Tant’è che, come diversi studi dimostrano, è più importante limitare la perdita di calcio che aumen­tarne l’assunzione. Nei paesi in cui si consumano quantità ingenti di prodotti caseari, come la Svizzera e gli Stati Uniti, l’incidenza dell’osteoporosi è tra le più alte, mentre in continenti come l’Africa e l’Asia, dove il consumo di questi prodotti è pressoché nul­lo, esiste il tasso più basso di osteoporosi e fratture all’anca. Se l’interazione tra fattori genetici e ormonali incide senz’altro, questi dati sembrerebbero provare che chi consuma elevate quantità di proteine animali e latticini corre il rischio di esaurire le proprie riserve di calcio, indipendentemente da quanto ne assume.

Immagino ci sia anche in questo caso una spiegazione scientifica  a sostegno…

Le proteine animali che si trovano nella carne sono costituite da amminoacidi contenenti zolfo, come la metionina, e da alte percentuali di fosforo: entram­be sostanze che alterano l’equilibrio del calcio. Per questo è sbagliato pensare che sia sano assumere un surplus di proteine attraverso la carne e i latticini. Il nostro organismo non immagazzina le proteine in eccesso, ma le espelle grazie all’azione dei reni. Durante il processo di eliminazione, e per bilanciare l’eccesso di fosforo derivante dagli alimenti animali, l’organismo è costretto ad attingere al calcio presente nelle ossa. Il manzo e il pollo, per esempio, hanno un rapporto calcio-fosforo di 15:1, mentre per molte verdure questo rapporto è pressappoco di 1:1, il che coincide positivamente sull’equilibrio del calcio. Le verdure a foglia verde, per esempio il cavolo riccio (kale), contengono elevate quantità di calcio di facile assorbimento, come quello presente nei prodotti di origine animale, ma hanno il vantaggio di essere prive di amminoacidi ricchi di fosforo o zolfo.

Sistemati carne e il latte, non ci resta che il pesce…

Cito solo un dato: un terzo di tutto il pescato mondiale viene usato come mangime per i sempre più cospicui allevamenti di bestiame. Ave­te capito bene: la nostra smania di cibarci di cibo animale (pesce o carne) foraggia le industrie che stanno depredando il nostro pianeta e distruggendo gli oceani e l’ambiente.

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