CHIAREZZA E FERMEZZA DI PAOLO VI

Passando da Giovanni XXIII a Paolo VI abbiamo modo di cogliere altre espressioni, una più felice dell’altra, sulla natura e sui caratteri del concilio Vaticano II. Ciò che papa Roncalli aveva affermato con grande chiarezza papa Montini lo riprende e lo rilancia con altrettanta fermezza: questi due papi sono stati davvero un dono eccezionale di Dio per una chiesa che viveva tempi eccezionali.

FINESTRA APERTA SUL MONDO  Ecco quanto si legge nel primo discorso pronunciato da papa Montini all’inizio della seconda sessione del concilio: “Sappia il mondo: la chiesa guarda ad esso con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con schietto proposito non di conquistarlo, ma di valorizzarlo; non di condannarlo, ma di confortarlo e di salvarlo. Ad alcune categorie di persone guarda la chiesa dalla finestra del concilio, spalancata sul mondo, con particolare interesse: guarda ai poveri, ai bisognosi, agli afflitti, agli affamati, ai sofferenti, ai carcerati, cioè guarda a tutta l’umanità che soffre e che piange; essa le appartiene per diritto evangelico; e ama ripetere a quanti la compongono: Venite ad me, omnes” (Mt 11,28).

Vibra, in  queste parole, tutto l’animo di papa Montini il quale amava elevare la sua mente e il suo cuore alle somme altezze della fede che, come insegna l’apostolo Paolo (vedi Galati 5,6), fiorisce nella carità. Ovviamente, Paolo VI fa uso di una metafora che esige di essere interpretata: la finestra aperta è come una icona che dice l’attenzione, intrisa di affetto, con la quale i padri conciliari intendevano guardare al mondo. Non certo per una sorta di curiosità, ma per una precisa volontà di condivisione delle sue gioie e dolori, delle sue fatiche e speranze.

UN SOLENNE ATTO D’AMORE  È sempre Paolo VI che, nel suo discorso ai padri conciliari in apertura della quarta e ultima sessione, ha caratterizzato il concilio Vaticano II come un atto d’amore. Dopo aver detto che “la storia della salvezza è storia terrena dell’amore celeste” il papa afferma: “Il concilio offre alla chiesa, a noi specialmente, la visione panoramica del mondo: potrà la chiesa, potremo noi fare altrimenti che guardarlo e amarlo? Sarà questa contemplazione uno degli atti principali dell’incipiente sessione del nostro concilio; ancora, e soprattutto amore, amore agli uomini di oggi, quali sono, dove sono, a tutti. Mentre altre correnti di pensiero e di azione proclamano ben diversi principi per costruire la città degli uomini, la potenza, la ricchezza, la scienza, la lotta, l’interesse, o altro, la chiesa proclama l’amore. Il concilio è un atto solenne d’amore per l’umanità. Cristo ci assista, perché davvero sia così”.

Di sua natura l’amore non ha limiti, non conosce remore: papa Montini lo dichiara apertamente e ci invita a fare lo stesso. Non c’è altro modo, non ci sono altre vie da percorrere se vogliamo entrare in quella atmosfera prettamente soprannaturale che ci consente di assaporare la spiritualità conciliare. Perché di questo si tratta: conoscere e assimilare lo spirito del concilio passando attraverso la lettera, cioè i documenti.

LA SOBRIA EBBREZZA DELLO SPIRITO  Echeggiando una ben nota espressione di sant’Ambrogio, vescovo di Milano, Paolo VI ci offre quest’altra chiave di lettura dell’intero concilio Vaticano II: “Ora, se qui è la chiesa, qui è lo Spirito Paraclito, che Cristo ha promesso ai suoi apostoli per l’edificazione della chiesa medesima. Lo Spirito è qui. Non già per avvalorare di grazia sacramentale l’opera che noi tutti, riuniti in concilio, stiamo per compiere, sì bene per illuminarla e guidarla a vantaggio della chiesa e dell’intera umanità. Lo Spirito è qui, noi lo invochiamo, noi lo attendiamo, noi lo seguiamo. Ricordiamo questa dottrina e questa presente realtà innanzitutto per avvertire, ancora una volta e in misura quanto ci è possibile piena e ineffabile, la nostra comunione con Cristo vivente: è lo Spirito Santo che a lui ci unisce. Momento di profonda docilità interiore, momento di somma e filiale adesione alla parola del Signore, momento di fervorosa tensione di invocazione e di amore, momento di ebbrezza spirituale, il concilio è per noi; sembrano adatti quanto mai a questo singolare avvenimento gli accenti poetici di sant’Ambrogio: Lieti beviamo la sobria ebbrezza dello Spirito. Così per noi deve essere questo tempo benedetto del concilio”.

Questa sobria ebbrezza dello Spirito richiama da vicino il riferimento alla Pentecoste di papa Roncalli. È forse questa la principale chiave di lettura del Vaticano II: dobbiamo imparare a farne un uso corretto. Esattamente quanto ci apprestiamo a fare, sotto la guida di maestri così illuminati e saggi.

Paolo VI: APERTURA SECONDA SESSIONE  Noi guardiamo al nostro tempo e alle sue varie e contrastanti manifestazioni con immensa simpatia e con immenso desiderio di offrire agli uomini di oggi il messaggio di amicizia, di salvezza e di speranza che Cristo ha recato al mondo. Lo sappia il mondo: la chiesa guarda ad esso con profonda comprensione, con sincera ammirazione e con schietto proposito non di conquistarlo, ma di valorizzarlo; non di condannarlo, ma di confortarlo e di salvarlo (29.09.1963).

CHIUSURA SECONDA SESSIONE  Godiamo, fratelli: quando mai la chiesa fu così consapevole di se stessa, quando mai così innamorata di Cristo, quando mai così felice e così concorde, così volonterosa per la sua imitazione, così pronta all’adempimento della sua missione? Godiamo, fratelli: abbiamo imparato a conoscerci e a conversare fra noi; e da forestieri che quasi eravamo gli uni per gli altri, siamo diventati amici (04.12.1963).