“CHE GENIO PAPA FRANCESCO”

intervista a Maurizio Costanzo
By Gino Consorti
Pubblicato il 2 Giugno 2017

 

“BERGOGLIO – osserva una delle personalità più influenti e importanti della storia televisiva nazionale – ha un potere di comunicazione che credo non abbia eguali nella storia… Vorrei tanto rincontrare i miei genitori NELL’ALDILà, mi mancano tantissimo. Quando la mafia mi ha messo 80 chili di tritolo e ne sono uscito indenne l’ho considerato un gran segno…

Chiamatela seconda giovinezza, onda lunga, longevità professionale. Oppure, semplicemente, chiamatela vocazione… Sì, quella che sin da ragazzino ha incendiato il cuore Maurizio Costanzo, straordinario precursore del talk show tricolore, anchorman dai toni garbati e dai modi brillanti, giornalista arguto e nello stesso tempo graffiante, conduttore radiofonico, autore e paroliere di assoluto livello. Oggi, infatti, alla soglia dei 79 anni (li festeggerà il prossimo 28 agosto) il suo celebre “salotto” continua a riscuotere un grande successo, compreso il pubblico giovanile che tocca i picchi più alti. Insomma, un fenomeno a 360 gradi che di fatto gli vale il riconoscimento di una delle personalità più influenti e importanti della storia televisiva nazionale. Un professionista mai banale in grado di affrontare tematiche più o meno scottanti riuscendo a tenere incollati davanti al piccolo schermo milioni di persone e soprattutto diverse generazioni. Se poi a tutto ciò aggiungiamo che da quasi 25 anni divide la sua vita privata con un’altra stella della tivvù, Maria De Filippi, ecco che anche la classica ciliegina trova il suo posto…

Nel corso degli anni nel suo celebre salotto mediatico, il Maurizio Costanzo Show (la prima edizione risale al 1982), si è accomodata gente di ogni razza, estrazione sociale, colorazione politica, professione e fedina penale… E grazie alla sua intelligenza e alla sua sensibilità è riuscito a raggiungere i meandri più nascosti dell’animo umano tirando fuori storie, confessioni, emozioni, ricordi, ansie e gioie. Nessun tabù, nessuna preclusione, nessun falso moralismo: il suo è sempre stato un giornalismo autentico di chi vive quotidianamente la realtà. Di chi sta nella società avvertendone respiri e sospiri e pronto a segnalarne storture e bruttezze, ma nello stesso tempo anche bellezze e positività. E per questo suo modo di raccontare e stare dentro la quotidianità è anche finito nel mirino della mafia. La sua amicizia con il giudice Giovanni Falcone e la sua incisiva attività mediatica contro l’azione mafiosa portò i vertici di Cosa nostra a confezionargli un’autobomba… Il 14 maggio del 1993 fecero esplodere 80 chili di tritolo nei pressi del Teatro Parioli, dove Costanzo aveva appena registrato una puntata della sua celebre trasmissione. Solo un attimo di incertezza da parte di chi pigiò il telecomando evitò il peggio. Costanzo, infatti, aveva cambiato auto e siccome nella preparazione dell’attentato nei giorni di “appostamento” era stato notato sempre a bordo di un’altra macchina, quella sera, involontariamente, “spiazzò” gli attentatori. Un inferno da cui uscirono miracolosamente illesi lui e la sua compagna Maria De Filippi. Così da quel giorno la sua diventò una sorta di famiglia “allargata”, condividendo ogni passo con gli uomini della scorta. La stessa che mi ha “ricevuto” nello studio romano del famoso anchorman in occasione dell’intervista.

Puntuale e disponibile Maurizio Costanzo mi fa accomodare nella sua stanza dove, attraverso una decina di schermi a loro volta suddivisi in vari spicchi sintonizzati sui maggiori canali di informazioni, e un altro dove riceve in tempo reale le notizie battute da tutto il mondo dalle agenzie di stampa, ha in pratica il controllo dell’universo mediatico. “Vivo tenendo il mondo sotto gli occhi – mi spiega mentre gli sistemo il microfono – oggi non potrei più farne a meno. Posso anche non muovermi da questa stanza. È un’idea copiata all’allora direttore della Rai Biagio Agnes”.

Ora è tutto pronto, possiamo cominciare la nostra chiacchierata. Come sempre, anche questa è una giornata frenetica per Maurizio Costanzo: tanti gli impegni in agenda e i suoi telefoni non smettono mai di cercarlo. Lui, però, non si scompone affatto e con grande professionalità e amabilità si mette a disposizione mia e dell’Eco.

Senta Costanzo, come presenterebbe se stesso in una puntata del suo sempreverde e inimitabile talk show?

Giornalista da più di cinquant’anni contento del lavoro che voleva fare e che si augura di continuare a farlo.

Scherzi a parte, qual è il segreto della sua incredibile longevità professionale?

Probabilmente quello di non essermi mai adagiato sul fatto che le cose andassero bene, di conseguenza ho sempre cercato di rinnovarlo.

E ci è riuscito alla grande visto il gradimento dei telespettatori, compreso il nuovo ciclo del suo celebre talk show…

La cosa che più mi fa piacere è aver recuperato il pubblico giovane. Nelle prime tre puntate di quest’anno il picco di ascolto ha riguardato le donne di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Veramente una gran bella soddisfazione.

Perché si definisce un produttore di malinconia?

Perché è così, sono malinconico dalla nascita, addirittura la produco…

Adesso sta esagerando…

No, è proprio così, io ero malinconico sin da piccolo…

C’è un motivo specifico?

No, credo ci sia nato. Ricordo che quando avevo 8 anni dicevo a mia madre che mi annoiavo…

Quindi è uno di quelli che vede il bicchiere sempre mezzo vuoto?

No, anche perché la malinconia non la ritengo un qualcosa di negativo. Anzi, nel mio caso credo sia stata molto utile trasformandosi in una sorta di scudo contro la depressione…. Mi ha consentito di scrivere commedie, canzoni e altro ancora, in pratica la considero una sorta di musa ispiratrice. Per me è un’affidabile e fedele compagna di viaggio.

Che ricordi ha della sua infanzia?

Diciamo che non erano tempi belli… Per capirci quando la sirena annunciò la fine della guerra io frequentavo le scuole elementari… Ricordo che un giorno, mentre ero dinanzi casa, passò un ufficiale tedesco con in mano un sacchetto di riso. Subito dopo, però, forse perché colpito da quel ragazzino malinconico, tornò indietro e me lo diede… Ripeto, erano anni non facilissimi,  alla ricostruzione ci si è dovuti arrivare…

Ci racconta perché, poco più che quattordicenne, scrisse a Indro Montanelli..?

Perché volevo fare il giornalista, il mio sogno. E un mio zio, che aveva capito tutto, mi metteva da parte le terze pagine del Corriere della Sera. Quindi io sono cresciuto leggendo Montanelli, Vittorio Giovanni Rossi, eccetera. Così un bel giorno, a 14 anni, scrissi quella lettera…

Con quale risultato?

Mi telefonò, fu un’emozione incredibile… Per mia fortuna chiamò nella tarda mattinata e io in quel periodo andavo a scuola nel pomeriggio. Risposi io e mi diede appuntamento alcuni giorni dopo nella sede del Corriere della Sera di Roma. Ovviamente dopo quel primo incontro nel corso degli anni ci siamo visti in tante altre occasioni.

Finito il liceo, dunque, ha tirato dritto verso il suo sogno diventando cronista al Paese Sera e in poco tempo anche un apprezzato autore radiofonico e televisivo. Immagino non abbia rimpianti per la scelta fatta…

Ma scherza, non potrei immaginarmi altro. Assolutamente no, ho fatto quello che volevo fare. Terminata la scuola a 17 anni – andavo un anno avanti – ho fatto il volontario nella redazione del Paese Sera… Non ho mai avuto un minimo dubbio su quella che sarebbe dovuta essere la mia strada. Forse, essendo figlio unico, qualche perplessità ce l’avevano i miei genitori che probabilmente non si rendevano conto del mestiere che sarei andato a fare. All’epoca, infatti, era una professione impervia, infatti si diceva che di notte giravano i giornalisti e le prostitute… Il quadro era questo.

Tra le sue prime interviste c’è quella con il mitico Totò. Ricorda un aneddoto?

Ricordo che lui non colse pienamente il significato del film Uccellacci uccellini, girato con Pasolini. Una mattina, infatti, lo chiamai e gli dissi: Principe, come si trova? E lui: “Sa, noi siamo come i tassisti, andiamo dove il cliente vuole…”. Evidentemente non aveva capito che Pasolini gli stava facendo fare un capolavoro.

C’è una persona che più di altre  merita un grazie ripensando alla tanta strada fatta?

Forse Indro Montanelli e Felice Chilanti, un inviato di punta del Paese Sera. Mia madre l’aveva conosciuto quando lei lavorava mi pare alla Federcommercio dove lui collaborava al giornale aziendale. Gli parlò di questo mio sogno e così Chilanti mi presentò al direttore del Paese Sera che mi prese come volontario. Senza una lira, come si faceva allora prima di svolgere il praticantato. Quella per me fu una grandissima scuola.

Qual è la scoperta “professionale” di cui è più fiero?

Tra le tante dico Paolo Villaggio. Ero andato a Genova a vedere la prima di uno spettacolo di cui ero autore e uno dei due direttori del Teatro stabile mi disse, qualora fossi rimasto, di assistere in un teatrino di Piazza Marsala allo spettacolo di uno strano impiegato della Cosider… Seguii il consiglio e persi la testa per lui… La sera cenammo insieme e subito dopo gli feci firmare un contratto. Lo feci debuttare in un cabaret di Roma, a Trastevere, che avevo preso da poco. Dopo dieci giorni di spettacolo, però, in un quarto d’ora i biglietti erano già esauriti… E in quel locale ci ho visto anche gente come Sordi, Gassman, Flaiano, tutti a vedere questo fenomeno strano…

Le mette più inquietudine il futuro oppure il passato che non c’è più?

Sinceramente nessuna delle due cose. Se proprio devo sceglierne una credo il futuro. Il passato è un ricordo piacevole, dispiace che non ci sia più ma non mi dà assolutamente ansia. Invece avendo quattro nipoti il futuro mi mette addosso un po’ di inquietudine. Però anche al fatto di non esserci più bisogna rassegnarsi…

Cosa si aspetta ancora dalla vita?

Di vivere. Chiedo solo quello, visto che posso ritenermi molto fortunato.

Che rapporto ha con la fede?

Alternante… Io non riesco a essere totalmente non credente, non si può e non lo sono. Infatti provo grande piacere nel parlare con qualche sacerdote illuminato. Posso farle una confessione…?

Prego…

Col passare degli anni penso sempre più che esista l’aldilà. Vorrei tanto rincontrare mio padre e mia madre.

Che ricordi ha dei suoi genitori?

Papà è morto quando avevo 16 anni.

Le è mancato tanto?

Sì, molto. Essendo figlio unico la sua assenza si è avvertita ancora di più.

E questa mancanza in qualche modo ha cambiato il modo di rapportarsi con i suoi figli?

Non lo so, forse sì. Io comunque penso continuamente ai miei genitori.

Nel corso della sua vita quando ha percepito maggiormente la presenza di Dio?

Forse quando la mafia mi ha messo 80 chili di tritolo… Io e mia moglie ne siamo usciti senza un graffio, per noi è stato un gran segno…

Cosa ricorda di quei momenti?

Un grande rumore, noi pensammo allo scoppio di una tubatura del gas… Infatti andammo a casa senza esserci resi conto di quanto accaduto. Poco dopo, però, iniziarono ad arrivare polizia e carabinieri informandoci dell’attentato.

Chi aveva dato l’ordine di eliminarla?

Credo Totò  Riina.

Con quale motivazione?

Questo Costanzo, avrebbe detto, mi ha rotto le scatole…

Quale era la sua colpa?

Le trasmissioni contro la mafia, alcune delle quali con la partecipazione del giudice Giovanni Falcone. La mia presenza forte sulle vicende di mafia, il far venire segretamente in trasmissione Leoluca Orlando, all’epoca fortemente impegnato nell’antimafia, hanno sicuramente creato dei problemi a Cosa nostra

Ha mai incontrato gli esecutori materiali?

Li ho visti a Firenze, in occasione del processo. Erano nell’aula, dietro le sbarre. Credo che quasi tutti abbiano avuto l’ergastolo, tranne Messina Denaro che è ancora latitante…

Da quel giorno cosa è cambiato nella sua vita?

Come ha potuto vedere vivo con la scorta accanto… Una sorta di famiglia allargata, dei parenti. Comunque è stata una bella esperienza umana condividere con loro la mia vita.

Che ricordi ha di Giovanni Falcone?

Avevo per lui una simpatia sfrenata, un ricordo bellissimo. Ricordo anche l’uccisione del giudice Borsellino e della sua scorta in via d’Amelio. All’indomani dell’attentato di Via D’Amelio andai sul posto con le telecamere e le confesso che ancora ho nelle narici l’odore acre della polvere da sparo.

La morte le fa paura?

No, quello che temo è morire rendendomene conto, cioè soffrendo. Se potessi fare un patto per una morte improvvisa lo sottoscriverei subito…

Magari in palcoscenico?

Come Moliere? No, no, chiederei troppo…

Però con Vittorio Gassman ne parlavate spesso…

È vero, lo avevamo pensato varie volte.

Eravate grande amici…

Sì, con la scomparsa sua e di Alberto Sordi ho perso due grandi amici, tra noi c’erano rapporti autentici. Ad esempio l’ultima volta che Alberto Sordi è uscito di casa, prima che la malattia lo costringesse a letto, ha cenato da me…

Che ne pensa di papa Francesco?

Mi è piaciuta da subito la sua capacità di comunicazione mediatica. Ricordo che quando fu eletto la sua prima parola fu buonasera… Mi prese un colpo, questo è un genio pensai… Ha un potere di comunicazione che credo non abbia eguali nella storia. Anche Giovanni XXIII a mio avviso era emozionante nei discorsi, ma come Francesco non ho incontrato nessuno. È veramente unico.

Dunque è il suo preferito…

Sì, insieme a papa Roncalli.

Di papa Wojtyla, che ricordo ha?

Quello di un forte impegno e di una grande volontà. Il giorno dell’attentato con l’emittente televisiva privata dove lavoravo realizzammo oltre dieci ore di servizio. Stavo quasi per conoscerlo personalmente grazie ai buoni uffici di monsignor Paglia, poi però non se ne fece nulla. Vorrei riprovarci con papa Francesco, chissà…

A proposito di tv, come giudica oggi la qualità dei palinsesti?

Ci sono alcune cose buone e altre meno, sia nella televisione pubblica, sia in quella privata. Io non faccio distinzioni, certamente non amo un genere di televisione troppo semplicistica.

I suoi programmi preferiti?

Mi piace il talk show di martedì di Floris su La7, Otto e Mezzo di Lilli Gruber, Chi l’ha visto? di Federica Sciarelli su Raitre, la fiction del Commissario Montalbano su Raiuno. Come anche mi piacciano i programmi di mia moglie Maria…

Cos’è che l’ha fatta innamorare di lei?

Non glielo so dire, mi è subito parsa una persona intelligente. La conobbi a Venezia in occasione di una conferenza stampa, lei faceva l’avvocato. Stavo mettendo in piedi una società di comunicazione e la invitai a Roma per sperimentare una nuova strada. Accettò e da lì ebbe inizio il tutto.

Dello straordinario successo di sua moglie è geloso, contento o sorpreso?

Assolutamente contento, anche perché ero stato io a spingerla. Mi aspettavo che avesse successo, ma sinceramente non così ampio. E di questo sono felicissimo. Guardo con grande piacere e attenzione i suoi programmi. No, la gelosia non mi ha sfiorato neanche per un secondo, anche perché non lo sono di natura. Il successo degli altri non mi crea nessun problema, non conosco il sentimento dell’invidia. Tanto meno potrei nutrirlo nei confronti di mia moglie…

Che padre è Maurizio Costanzo?

Credo di essere stato un padre tutto sommato presente, al netto ovviamente delle mie vicende sentimentali. Ho sempre cercato di mantenere un rapporto vivo e ininterrotto. Ad esempio ogni giovedì facciamo una bella riunione di famiglia e pranziamo insieme.

Immagino che con i nipoti entri in scena una versione più coccolona di nonno Maurizio…

Sono piccolini e poi adoro i bambini… Il più grande ha 12 anni e oggi pomeriggio viene a vedere dietro le quinte la registrazione del mio programma… Non le nascondo che nutro la speranza che il Dna ci metta del suo… Ovviamente sceglierà lui la strada da seguire, non voglio intromettermi più di tanto. Con i nipoti di mia figlia Camilla ci vediamo più spesso, meno con quelli di mio figlio Saverio che è sempre in giro per lavoro. Tra l’altro sono anche padrino di un bambino di tre anni e mezzo che vedo almeno un paio di volte a settimana…

Com’è nata nel 2004 la scelta di adottare Gabriele, all’epoca tredicenne?

Una volta venne a trovarci a casa Francesco Rutelli, l’ex sindaco di Roma che ci ha sposati, e aveva portato anche due bambini che aveva in affidamento. Nei loro occhi vidi una malinconia incredibile… Fu allora che prese corpo in noi l’ipotesi di una scelta adottiva. Possibile, ci chiedemmo io e Maria, che gli istituti siano pieni di bambini soli e abbandonati desiderosi di affetto? Successivamente, allora, parlai con la presidente del Tribunale dei minori di Milano attivando così la consueta procedura. Le dicemmo, inoltre, che da parte nostra non esistevano distinzioni di razza o di colore della pelle…

Visto che siamo in tema, quale messaggio dare ai giovani che si approcciano alla vita?

A tutti, compresi i miei nipoti, auguro di avere una vocazione attraverso la quale, grazie all’entusiasmo, sarà possibile superare ogni tipo di difficoltà: dolori, contrarietà, soprusi, eccetera. Rappresenterà la spinta giusta per andare avanti.

E lei tra cent’anni come vorrebbe essere ricordato?

Come uno che ha fatto quello che ha potuto…

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