Che sarebbe stato un anno difficile, in linea generale, c’era da aspettarselo, bisestile com’era…( non si dice forse anno bisesto, anno funesto?). Ma che si finisse un po’ tutti a carte quarantotto, società, individui, istituzioni, forse non ce lo aspettavamo, né francamente ce lo saremmo aspettato. Come, per altro verso, non ci saremmo aspettato che l’unico spazio sociale a non chiudere del tutto i battenti fosse il vertice del calcio, segnatamente quella serie professionistica che pur tra mille bofonchiamenti, polemiche, rimpalli di responsabilità e rimandi al mittente non ha perso un grammo della abituale attenzione continuando imperterrita a percorrere il suo annunciato e confermato programma.
Che sia stato a motivo del rispetto dovuto a contratti televisivi irrinunciabili non sappiamo: sappiamo però per certo che s’è fermato solo il calcio di vertice, in questo smentendo clamorosamente il vecchio, trionfalistico, e ora un po’ consunto, refrain sui novecentomila appassionati che ogni fine settimana popolano e animano campi e stadi dalle Alpi a Capo Passero.