CENTRALITÀ DELL’EUCARISTIA

CINQUANT’ANNI DI CONCILIO
By Carlo Ghidelli
Pubblicato il 4 Settembre 2014

Ciò che Gesù ha fatto, la vigilia della sua passione, la chiesa lo rinnova e attualizza ogni volta che celebra i sacri misteri. Il concilio Vaticano II lo ha fortemente ribadito allo scopo di tenere viva in noi questa certezza: nel sacramento del pane e del vino consacrati a noi è offerta l’opportunità di entrare in contatto con la potenza salvifica del sacrificio di Cristo sulla croce. Chi non sperimenta questa unione mistica con Gesù morto e risorto non può dire di vivere una vita cristiana in pienezza. L’eucaristia non è solo un mistero da celebrare, ma è anzitutto un mistero da far rivivere nella nostra vita terrena.

UNITÀ DELLA MESSA

Al n. 56 la costituzione conciliare sulla liturgia afferma: “Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò il sacro concilio esorta caldamente i pastori di anime ad istruire con cura i fedeli, nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la domenica e le feste di precetto”.

Questa riflessione ci aiuta a cogliere il dinamismo interno a ogni celebrazione eucaristica. In essa noi siamo invitati a prestare ascolto a colui che ci parla, cioè a Dio che si è fatto parola in Cristo Gesù. Il nostro primo atteggiamento deve essere quello del discepolo che si mette ai piedi del maestro, come Maria di Nazareth che, dopo aver ascoltato la parola dell’angelo “conservava queste cose, meditandole nel suo cuore” (vedi Luca 1,19.53). La prima parte della messa è una vera e propria “scuola della parola” alla quale partecipiamo con l’atteggiamento di chi vuole ascoltare e imparare.

Ma poi siamo anche invitati ad accostarci all’altare per consumare anche noi la vittima divina offerta al padre: la seconda parte della messa corrisponde a un vero e proprio banchetto al quale siamo invitati per poter vivere una vita tutta eucaristica. Ad esso dobbiamo accostarci con quella fame e quella sete che non possono essere soddisfatte se non dal corpo e dal sangue di Cristo. I due momenti sono inseparabili, ma devono essere integrati con un terzo: quello cioè di diventare testimoni del mistero che abbiamo celebrato. Dopo la parola e il pane, per essere veramente degni del nome che portiamo, dobbiamo impugnare la palma del martirio, cioè della testimonianza. La messa non si esaurisce in chiesa, ma richiede di essere prolungata nella vita, nelle nostre case e per le nostre strade.

I SACRAMENTI

L’eucaristia è solo uno dei sacramenti; per questo il concilio insegna: “I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo, e infine a rendere culto a Dio: in quanto segni, hanno poi anche la funzione di istruire. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti delle fede. Conferiscono appunto la grazia” (n. 59).

Non è forse vero che noi corriamo il rischio di trattare i sacramenti, tutti e sette, con molta superficialità e forse anche con una certa attitudine magica? Mi spiego subito, a scanso di equivoci. Se i sacramenti sono pensati e vissuti come gesti che automaticamente danno la grazia senza una qualche partecipazione dei fedeli, appunto mediante la fede che non rimanga astratta e aerea, allora noi finiamo col trattarli come se fossero distributori automatici di divini favori. Non è certamente questo il modo più corretto di trattarli.

Inoltre il concilio ci insegna che i sacramenti non sono solo a beneficio dei singoli fedeli, bensì anche a beneficio del corpo di Cristo che è la chiesa. È per la chiesa, sua sposa, che Cristo è morto ed è risorto. I sacramenti perciò sono tutti destinati a mantenere viva e operosa la comunità dei salvati e, in quanto tali, sono ordinati anche alla edificazione della chiesa. Ne siamo consapevoli? Celebrandoli ci lasciamo edificare come comunità cristiana?

L’OMELIA

È pacifico ormai che l’omelia o sermone è parte integrante della celebrazione liturgica. Per questo i padri conciliari scrivono: “Si raccomanda vivamente l’omelia come parte della stessa liturgia; in essa, nel corso dell’anno liturgico, vengono presentati, dal testo sacro, i misteri della fede e le norme della vita cristiana. Anzi nelle messe della domenica e delle feste di precetto celebrate con partecipazione di popolo, l’omelia non si ometta se non per grave motivo” (SC 52).

Certo, siamo noi preti che ci sentiamo destinatari di questa raccomandazione, per fare il nostro esame di coscienza. Ma anche i fedeli laici devono sentirsi interpellati. Anzitutto a considerare l’omelia come parte integrante della celebrazione eucaristica: non possiamo concederci un po’ di riposo mentre il prete cerca di spiegare le letture bibliche. Se la parola di Dio non entra nella nostra vita l’eucaristia rimane come una incompiuta.

In secondo luogo dobbiamo diventare ascoltatori attenti e critici di quello che ci viene proposto alla meditazione. Semmai per parlarne, a celebrazione finita, con il prete interessato. Noi preti abbiamo bisogno di sapere se ciò che diciamo e come lo diciamo viene incontro alle vostre necessità spirituali. In molte parrocchie vige ormai la tradizione di offrire un breve pensiero di meditazione anche nelle celebrazioni eucaristiche feriali: un’altra bella occasione per acquisire quella “soave e viva conoscenza delle sacra scrittura”, alla quale ci esorta il concilio.

DALLA COSTITUZIONE SULLA CHIESA

La chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunziando la passione e la morte del Signore, fino a che egli venga. Dalla forza del Signore risuscitato trova forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni di difficoltà, e per svelare al mondo con fedeltà, anche se per ombre, il mistero del Signore, fino a che alla fine dei tempi sarà manifestato in pienezza di luce (n.8).

COME PREPARARE L’OMELIA

Merita qualche considerazione il fatto che oggi, in alcune comunità parrocchiali, si cerca di preparare l’omelia domenicale in seno al gruppo liturgico: ottima iniziativa, purtroppo non sufficientemente diffusa. È utile ai laici per approfondire il messaggio delle singole letture e per arrivare maggiormente preparati alla celebrazione dell’eucaristia. Ma serve anche ai preti perché imparino a contestualizzare la loro omelia, cioè a porla il relazione al vissuto dei parrocchiani e delle loro famiglie.

 

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