C’È BISOGNO DI UNA RIVOLUZIONE EDUCATIVA

in aumento le violenze sulle donne
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 30 Settembre 2017

La professoressa Maria Rita Parsi, psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, individua quattro spunti di riflessione per analizzare il contesto attuale: la società multiculturale in cui viviamo, la violenza come codice di comunicazione oggi dominante, la cultura del consumo e la naturalezza, evocativa di un modo d’essere, con cui si parla di questo tipo di violenze

Quando si parla di violenza sulle donne la parola più usata (e abusata) è la parola “emergenza”. Si parla di emergenza per denunciare il numero eccessivo dei casi di cronaca che riguardano stupri e omicidi ai danni delle donne, si replica lo stesso copione quando viene sottolineato – come è successo di recente per gli stupri avvenuti a fine agosto a Rimini – la nazionalità degli stupratori come a dire che il mostro, oggi più che mai, arriva da fuori, è per definizione lo straniero, l’immigrato, il forestiero. Oppure si parla di violenza sulle donne indugiando in particolari che nulla aggiungono al diritto dei media di informare e dei cittadini a essere informati ma finiscono soltanto per aizzare l’indignazione e soprattutto calpestare la dignità delle vittime. Emblematico, ancora una volta, il caso di Rimini, dove nella notte tra il 25 e il 26 agosto scorso due marocchini di 15 e 16 anni, insieme a un 17enne di origine nigeriana e all’unico maggiorenne del gruppo, il 20enne congolese Guerlin Butungu, hanno aggredito nel bagno 130 una coppia di turisti polacchi, picchiando lui e violentando lei. Poi hanno abusato di una transessuale peruviana lungo la statale. Alla fine sono stati arrestati tutti. Sapevamo già che era stata usata una ferocia assoluta, un accanimento spaventoso che la turista polacca e la transessuale peruviana non potranno mai dimenticare e forse mai superare. Perché dunque, come hanno fatto molti giornali, pubblicare, facendo un uso discutibile dei verbali della polizia, particolari intimi, rivelazioni delicate, modalità della violenza perpetrata alle due vittime?

Oltre l’emergenza, per provare a capire

Eppure, trattare questi casi, sia a livello mediatico che nel dibattito pubblico, con la logica dell’emergenza o con quella dei particolari  scabrosi quando si tratta di violenze sessuali o casi di omicidio sembra diventata l’unica modalità possibile. Con la professoressa Maria Rita Parsi, psicologa, psicoterapeuta e scrittrice, proviamo ad andare oltre le colonne d’Ercole dell’emergenza e del voyeurismo giudiziario per provare ad analizzare il fenomeno da una diversa angolazione. La vera emergenza, di là dai numeri e dalla nazionalità degli autori delle violenze, non è forse educativa? Non ci stiamo forse soffermando un po’ troppo sul tetto invece che sulle fondamenta divenute così fragili che rischiano di far franare tutta la casa? “Il punto di partenza è giusto”, risponde Parsi che individua quattro spunti di riflessione per analizzare il contesto attuale e l’emergenza educativa e culturale: la società multiculturale in cui viviamo, la violenza come codice di comunicazione oggi dominante, la cultura del consumo e la naturalezza, evocativa di un modo d’essere, con cui si parla di questo tipo di violenze.  Partiamo dal primo: “Dobbiamo prendere atto – afferma Parsi – che oggi nelle nostre società occidentali vivono uomini provenienti da altre etnie, culture e tradizioni dove si registra oggettivamente un arretramento del livello di libertà per le donne. Non è un discorso di razzismo ma si tratta di capire e analizzare in quali famiglie e in quale rapporto con le donne sono cresciute queste persone che si macchiano di questi atti orrendi. Le violenze, dagli stupri agli omicidi, non sono attribuibili soltanto alla nostra cultura ma anche a visioni arretrate delle donne esistenti in altre culture. Le donne aggredite in Occidente sono quasi sempre libere ed emancipate, che hanno il desiderio di vivere come si vive nei Paesi occidentali e credono di avere lo stesso diritto di uscire, avere relazioni, scambi e amicizie con persone dello stesso o dell’altro sesso. Il costume che nel tempo è andato affermandosi in Occidente mira alla parità tra uomini e donne. In questo contesto si innestano realtà e culture dove le donne non hanno questa libertà e sono spesso prede se non sono protette dalla famiglia”.

Il secondo elemento è legato al fatto che la violenza è diventata un codice di comunicazione, “a livelli incredibili”, sottolinea Parsi: “Io non amo affatto che personaggi violenti e delinquenti diventino protagonisti di film, serial tv, musical. Non voglio passare per bigotta ma perché, mi chiedo, il delinquente assassino che ammazza, spara o spaccia droga deve diventare un eroe da ammirare? Si tratta pur sempre di uno che tutto sommato ha un’identità negativa e attraverso lo schermo dà identità al malessere di tanta gente che se non la trova nel bene la trova nel male, soprattutto gli adolescenti. Sono profondamente preoccupata per la carenza di modelli costruttivi, reali e non utopistici, cui ispirarsi per rapportarsi al mondo, costruire, lavorare in maniera degna dell’umano. Ci sono tanti modelli che invitato al tutto e subito, che incitano a scavalcare la vita degli altri e a passarci sopra come un trattore”. Parsi fa l’esempio di Pablo Escobar, il “re della droga” nella Colombia del narcotraffico e protagonista della serie Tv Narcos arrivata alla terza serie: “Se un personaggio controverso come lui viene esaltato dal cinema poi inevitabilmente diventa un modello. Non si tratta di censurare nulla però bisogna fare attenzione. Vedo che tutti questi modelli negativi vengono regolarmente incrementati, mentre quelli positivi ignorati o comunque poco sostenuti. È questa violenza quotidiana, talvolta nascosta e talaltra persino elogiata, che è incubatrice di tutte le altre violenze”.

Il terzo punto è la cultura del consumo: “Lo stupro – ricorda Parsi – è un furto, una maniera di appropriarsi di qualcosa anche se si tratta del corpo di una persona. Nasce da un atteggiamento predatorio, di persone che considerano l’altro oggetto del proprio svago e che pensano di aver diritto a ottenere questo svago tramite la violenza che è il loro codice di espressione”. Infine, la professoressa Parsi si sofferma su un punto eluso dalla maggior parte degli analisti e politicamente scorretto: “Gran parte della violenza è favorita dalla diffusione anche di alcol e droga. I ragazzi, non tutti per fortuna, che agiscono così e si esprimono in questo modo sono emblematici del modo di vivere e pensare che sta passando. Noi oggi parliamo di femminicidio, stupro, violenza con una normalità e quotidianità che fa paura. Eppure viviamo in un paese civile non nella giungla selvaggia. Questo fa più orrore di tutto. Ciò accade perché non c’è prevenzione. Le conquiste fatte in questi anni sulla libertà delle donne e i diritti umani dovrebbero radicarsi come espressione di una vita normale, quotidiana”.

Il corpo della donna sotto attacco

Una cosa è certa: il corpo della donna, oggi più che in altre epoche storiche, è sotto attacco. È oggetto di violenza, è ridotto a incubatore di figli per conto terzi, come accade nel dilagante fenomeno della maternità surrogata. Qui Parsi fa una riflessione-appello: “Vorrei – dice – dare una risposta al mondo femminile e femminista. È negativo se le donne impegnate in questa battaglia per i diritti femminili non tengono conto che il corpo delle donne non è una cosa qualunque, ma è il corpo che dona la vita, è il corpo della madre, da cui nascono tutti, maschi e femmine, solo che i maschi quel corpo non ce l’hanno e sognano di tornare a infetarsi in quel corpo, riaverlo dopo che l’hanno perduto quando sono nati. Tutta la vita dell’uomo e del mondo passa dal corpo della donna – aggiunge – se tu hai sentito una madre rifiutante, una madre che sul corpo non ti ha accolto, vivi nella paura di perdere questa  protezione e presenza che dalla madre passa poi alla partner. Non è un caso che i paesi più arretrati vogliono il controllo totale sul corpo delle donne dal quale ha origine la vita”.

Un altro aspetto che ha riempito e riempie le cronache è che molti casi di violenza sessuale, anche solo tentata, durante le vacanze appena trascorse, hanno riguardato adolescenti. È un segnale della fragilità di avere relazioni affettive e sessuali? Anche qui la risposta dell’esperta è articolata: “Ci sono tanti giovani che arrivano al primo rapporto sessuale con maturità e responsabilità. Questo va detto. L’impatto con la “prima volta” è importante e bisogna arrivare non da soli ma sostenuti, aiutati e messi in condizione di non fare atti sessuali a rischio. Oggi, però, l’educazione sessuale in Italia non si fa o si fa con dilettanti allo sbaraglio. C’è grande confusione, manca la cultura. Nelle scuole, ad esempio hanno tolto gli psicologi che possono aiutare e sostenere i ragazzi nel loro percorso e ad approcciare il sesso in maniera responsabile”. Un disastro. Cosa resta? “I modelli veicolati dai mass media, i quali fanno più educazione sessuale, in maniera orrida, di tutte le istituzioni educative”. La pornografia è sul banco degli imputati: “È sempre stata responsabile di una sessualità maleducata, che non ha una sua impostazione – risponde Parsi -. Oggi col virtuale si è moltiplicata per mille, è diventata virale. Si tratta di realtà pornografiche talmente spinte che non sono quelle dei vecchi film e riviste ma tendono alla perversione e alla violenza anche estrema. I ragazzini apprendono da questi modelli un sesso fatto di perversione e prevaricazione, come puro consumo e separato dagli affetti”.

Nel libro i Maschi son così (Piemme) Parsi ha scritto che i maschi sono fragili, spaesati e impauriti dal ruolo che la donna e la società si aspettano da loro. È possibile curare questa fragilità? Lo stupratore è un fragile? “Sì, è una persona fragile da sanzionare velocemente e riabilitare. Le due cose vanno insieme – specifica – guai a dire che è fragile e quindi essere indulgenti. Nessuna fragilità giustifica la stramillenaria ferocia degli uomini nei confronti delle donne. Però, una volta compresa questa fragilità, bisogna farsene carico. Questa fragilità è connessa a una sensazione di onnipotenza nei confronti della donna che dà la vita e l’uomo si sente potente in quanto controlla questa sessualità. Il femminile, per l’uomo, può significare anche abbandono, che si può essere lasciati., magari dopo aver vissuto abbandono e violenza da parte della madre o addirittura quando ancora era in grembo. Nessuno, per esempio, si è mai interrogato su chi sono le madri degli stupratori? O dei jihadisti? Dei nazisti? Anche le donne sono violente e aggressive se hanno subito violenza. Gli uomini non devono coprire questa fragilità, negandola o facendo finta che non esista. Se l’uomo ammette la sua fragilità profonda, soprattutto di fronte all’angoscia di morte, il mondo cambia. E quest’angoscia non si aggira o sconfigge facendo la guerra o spadroneggiando sulle donne ma può essere scongiurata solo se l’uomo ammette la fragilità”. Conclude Parsi: “Gli stupratori hanno un odio e una rabbia verso le donne, alla radice di questo comportamento c’è sicuramente una situazione di dipendenza, una sensazione di abbandono e la voglia di risolvere con la violenza una loro paura”.

 

Comments are closed.